Il dovere etico della memoria e la testimonianza di pratiche di antimafia sociale, simbolo di una Calabria che resiste, sono le tematiche affrontate nel percorso digitale di studio, promosso dal progetto Pedagogia dell’Antimafia del Dipartimento Culture, Educazione e Società dell’Università della Calabria, dall’Istituto Ciliberto di Crotone e dalla rete nazionale delle scuole di Barbiana 2040, che si èaperto lo scorso 23 maggio, giorno della strage di Capaci, e che concluderà il suo cammino didattico il 19 luglio, nell’anniversario dell’attentato a Paolo Borsellino.
Il webinar, moderato dal giornalista Gianfranco Bonofiglio, è stato introdotto da Giancarlo Costabile ricercatore di Storia dell’Educazione all’Università della Calabria e Rossella Frandina, docente di Lettere presso l’Istituto Ciliberto di Crotone.
Giancarlo Costabile ha sottolineato l’importanza di restituire alle nostre comunità esempi concreti di cambiamento, all’insegna di quella pedagogia milaniana fondata sul valore della disobbedienza, su una parola che può e deve farsi veicolo di cambiamento in una Calabria che sceglie di prendere posizione e opporsi al sistema mafioso rifiutando il silenzio come paradigma dominante. L’educazione, infatti, comincia dalla consapevolezza che cambiare è difficile ma è possibile perché, sostituendo alla passiva rassegnazione la ribellione come denuncia, si impara a scegliere da che parte stare e quanto importante sia che ognuno si senta responsabile di tutto.
Ecco perché, ribadisce Rossella Frandina, resistere è una prassi pedagogica, rispetto alla quale occorre darsi degli imperativi, rifondare un’etica, una morale, partendo dalla propria terra, smettendo l’abito della retorica sterile e inutile e usando ciò che di sacro c’è nei nostri luoghi in maniera eretica, senza deformazioni, senza mutazioni antropologiche, creando un nuovo pensiero meridiano fondato sull’etica della responsabilità e della libertà. Etica la cui costruzione passa, sottolinea don Pasquale Aceto, dalla padronanza della parola che libera e crea, al contempo, le condizioni per avere accesso all’esercizio dei propri diritti sociali e politici divenendo padroni delle proprie scelte. Perché, in un mondo caratterizzato dalla discrasia fra parole e comportamenti, le parole stesse hanno finito col perdere il valore semantico più autentico. Ma, senza la parola che si fa dialogo e apertura all’altro, non c’è dignità e quindi neanche possibilità di libertà e giustizia sociale. E sono proprio, dice Umberto Ferrari, Coordinatore della segreteria regionale di Libera Calabria, la ricerca di giustizia sociale e il tentativo di restituire alla comunità i terreni confiscati alla ‘ndrangheta nei comuni di Isola Capo Rizzuto e Cirò, che hanno portato alla costituzione della Cooperativa sociale Terre Joniche. Un percorso, quello di Libera Terra, che è la dimostrazione, come sostiene Don Ciotti, che si può conciliare l’etica e l’estetica, il bello e il giusto nella convinzione che, con il contributo di tutti, si possa voltare pagina. Da una palazzina distrutta dai clan prima di abbandonarla e da un capannone agricolo è nato, infatti, un nuovo modo di fare impresa fondato sul recupero e la riqualificazione dei beni confiscati alle mafie e riportati nella disponibilità sociale dei cittadini. Oggi Terre Joniche, sottolineano Fabio Iannone, Danilo Loprete, Rosario Vasapollo, Cristian Casella, Mattia Vetere, che compongono il team de gli Scaricati, è il simbolo di una Calabria nella quale un bene sottratto al controllo della ‘ndrangheta è diventato presidio di legalità ed è stato capace di creare comunità. «Ci tenevo ad essere qui questa sera, dice Alessia Froio, ex studentessa del Ciliberto, perché credo che in quella espressione “Capaci di resistere”, che ho visto sulla locandina, ci sia tutto quello che abbiamo provato a fare, nel nostro piccolo, in questi anni. Io ho capito, nel mio percorso di cittadinanza attiva, che se tutti facessero, con coscienza, il proprio lavoro, saremmo tutti un presidio di democrazia. Ma la realtà va in una altra direzione. Ecco perché è importante raccontare esempi positivi di lotta caparbia, come Terre Joniche. Perché solo così è possibile creare quella forza che è in grado di distruggere non la mafia ma la mentalità sottesa al fenomeno mafioso. Raccontare storie, allora, è l’unico modo per fare capire alla gente quanto le mafie distruggano il nostro territorio, perché le mafie non portano ricchezza ma povertà. Dopo essermi documentata, dopo essere andata in giro per la città, dopo essermi confrontata con chi ha provato a lottare, dopo aver toccato con mano quanta responsabilità abbia la politica nella vita di tutti noi, dopo aver visto quanto peso abbia l’indifferenza nella nostra società, ho scoperto il valore della disobbedienza, ho scelto di dire no a questo sistema. Ed è per questo che volevo esserci questa sera. Per testimoniare che un percorso di cittadinanza attiva non si esaurisce ma può e deve continuare anche fuori dalla scuola». Ecco perché, osserva nelle battute conclusive Gianfranco Bonofiglio, in una data come quella che segna la strage di Capaci, abbiamo il dovere di ricordare ciò che è stato perché, senza memoria, non potremo essere capaci di resistere a quei sistemi mafiosi che sono, ancora oggi, il prodotto e i riproduttori di disuguaglianza e sperequazione sociale. L’iniziativa seminariale si è conclusa con la discussione della lettera ai Calabresi, un piccolo manifesto di resistenza e cambiamento sociale, scritta dagli studenti del Ciliberto, Cristian Casella e Alessandra Costarella.
Lettera ai Calabresi di Cristian Casella e Alessandra Costarella, studenti del Ciliberto di Crotone
Dicono che i nomi racchiudano l’essenza delle cose, che ogni nome abbia la capacità di rievocare sensazioni di appartenenza. Oggi la Calabria e il sud sono da molti considerati una mera espressione geografica. E tutto questo lede la nostra dignità. Quella di tutti. Ecco perché va ricostruita una identità che sia indicativa di un nuovo modo di pensare. E dobbiamo farlo in fretta. Dobbiamo farlo insieme. Ecco perché ci rivolgiamo a chi è parte di questa terra.
A noi Calabresi,
non importa se veniamo da Crotone, Cosenza, Reggio Calabria, Catanzaro, Vibo o da qualunque altro borgo di questa regione dimenticata perché, ovunque saremo e per quanto saremo lontani da casa per motivi di salute o lavoro, quando in una terra si nasce a quella terra si appartiene. Per sempre. Occorre intervenire, occorre che ognuno di noi faccia la sua parte affinché il cambiamento possa avvenire…
A tutte le madri e ai padri di questa terra,
sappiamo quanto sia difficile vivere a molti chilometri di distanza dalla propria casa, inseguendo quel lavoro tanto desiderato che dovrebbe essere garantito dalla nostra stessa Costituzione, per costruire un futuro migliore per le generazioni successive, per i figli dimenticati di una terra degenerata.
Occorre invertire la tendenza. Educate i vostri figli, i ragazzi della mia generazione, alla lotta. Questa terra non ha più bisogno di sudditi. Dateci la possibilità di dire no. Insegnateci il valore dell’indignazione. Portiamo la lotta fuori dalle nostre case. Cambiamo, insieme, un destino che è il nostro. Ci appartiene. Dateci una speranza futuro.
Ai commercianti,
non siete stanchi di aver paura? Di dover pagare il pizzo per assicurarvi che il vostro locale non venga incendiato e distrutto? Non siete stanchi di dover finanziare uomini da nulla attraverso il vostro lavoro? Attraverso il vostro tempo? Attraverso i vostri sacrifici?
Denunciamo! Denunciate! È assolutamente vero che le regole del gioco, per chi vive più a sud del sud, non sono mai le stesse ma è altrettanto vero che “l’unione fa la forza!”. Se lo stato non c’è, facciamoci noi stato imparando, insieme, a non lasciare soli chi ha opposto resistenza. Perché non c’è cosa peggiore di quell’ indifferenza che ci rende tutti complici!
Agli uomini di potere,
una terra non si vende, si difende.
Avete tradito la politica. Avete inseguito il consenso per tutelare solo voi stessi.
A Voi che sotto tonnellate di veleni avete sepolto anche le vostre coscienze. Come si riescono a prendere alcune decisioni sapendo che la morte, a differenza della politica, non si ferma?
Ai ragazzi della nostra età,
alle prossime elezioni votiamo chi pensiamo possa far meglio per il bene comune! Per la nostra terra! Smettiamola di pensare al nostro particolare, smettiamola di svendere il nostro voto per un lavoro, per false illusioni! Apriamo gli occhi! Non c’è più tempo! Basta esser complici di questo sistema per poi affermare: “tanto non cambia nulla”! Così non arriveremo da nessuna parte! Noi possiamo e dobbiamo essere il pilastro di questa nuova resistenza, di questo percorso di cambiamento non intrapreso dalle precedenti generazioni: studiamo, resistiamo, collaboriamo.
Al mondo dell’Università e della Scuola,
a voi che avreste dovuto giocare un ruolo fondamentale nella società, a voi che avete, spesso, fallito, a voi che avete solo formato contenitori di cultura passiva, gente incapace di pensare criticamente. Vi preghiamo, invertite la rotta. Qualunque cambiamento è sempre, prima di tutto, un cambiamento culturale. E voi dovete esserne parte.
Ai giornalisti, a chi ha il compito di informare, non siate strumento di potere perché la verità sta sempre da una altra parte.
Agli uomini di fede,
abbiamo bisogno, in terra di ‘ndrangheta, di una chiesa militante che scenda fra la gente e guardi agli ultimi rivendicando quella giustizia sociale su cui le mafie si arricchiscono.
A tutti noi che viviamo in una prigione mascherata di libertà,
l’ingiustizia sociale in Calabria è divenuta disequità territoriale e la nostra vita si è fatta buia. Così in questa oscurità che ci avvolge abbiamo fatto della collusione e della corruzione le nostre divinità. E siamo diventati incapaci di vedere oltre la siepe.
La nostra atavica indifferenza si è resa complice di un sistema malato e racchiude la chiave per comprendere la ragione del male. Perché l’indifferenza ti rende parte integrante del problema. Le mafie sono, oggi, una nuova forma di totalitarismo, tanto pervasivo perché diventato pensiero dominante. In questo risiede la sua tragicità.
Per evadere da una prigione senza sbarre bisogna fare memoria, resistere e opporsi al sistema, essere un rivoluzionario ed andare controcorrente distaccandosi dagli interessi e dai bisogni imposti dalla società, per provare ad essere uno e non chiunque.
Ogni persona senza una propria identità cessa di esistere, così come l’esistenza umana senza memoria non ha valore. Uomini si è soltanto, diceva Vittorini, quando si resiste agli offensori del mondo senza chiedersi altro che il dovere di resistere. Noi lo sappiamo chi sono, in questa terra, gli offensori. Diventiamo, insieme, capaci di R-esistere.