Dopo l’editoriale a firma del direttore Jean Birnbaum, che il prestigioso quotidiano «Le Monde» gli ha dedicato in prima pagina, nel supplemento «Le Monde des Livres il 4 gennaio, per L’utilità dell’inutile, l’ultimo originale e stimolante lavoro di Nuccio Ordine edito da Les Belles Lettres, arriva adesso anche uno straordinario successo di vendite, inaspettato per la rapidità e la consistenza con cui si sta caratterizzando. Il lavoro di Nuccio Ordine, infatti, distribuito nelle librerie transalpine il 17 gennaio, è balzato immediatamente al 14° posto della classifica dei 100 libri più venduti in Francia nella saggistica. Segno evidente che l’ appassionata e accattivante riflessione che attraversa il libro sta incontrando il favore del selettivo ed esigente pubblico francese, poco incline a concedere aperture di credito che non siano sostanziate da riscontri oggettivi sul piano della qualità intellettuale e del valore culturale. In attesa che L’utilità dell’inutile venga tradotto in italiano, anticipiamo alcuni passaggi della prefazione con la quale il prof. Ordine presenta il libro ai lettori.
“L’ossimoro evocato dal titolo merita un chiarimento. La paradossale “utilità” di cui parlo non è la stessa utilità in nome della quale i saperi umanistici e, più in generale quei saperi che non producono profitto, vengono considerati inutili. In un’accezione ben diversa e molto più universale, ho voluto mettere al centro delle mie riflessioni l’idea di utilità di quei saperi il cui valore essenziale è completamente sganciato da qualsiasi fine utilitaristico. Esistono saperi fine a se stessi che – proprio per la loro natura gratuita e disinteressata, lontana da ogni vincolo pratico e commerciale – possono avere un ruolo fondamentale nella coltivazione dello spirito e nella crescita civile e culturale dell’umanità. La logica del profitto mina alle basi quelle istituzioni (scuole, università, centri di ricerca, laboratori, musei, biblioteche) e quelle discipline (umanistiche e scientifiche) il cui valore dovrebbe coincidere con il sapere in sé, indipendentemente dalla capacità di produrre guadagni immediati o benefici pratici. Certo, molto spesso i musei o i siti archeologici possono anche essere fonte di straordinari introiti. Ma la loro esistenza, contrariamente a ciò che alcuni vorrebbero farci credere, non può essere subordinata al successo degli incassi: la vita di un museo o di una scavo archeologico, come quella di un archivio o di una biblioteca, è un tesoro che la collettività deve gelosamente preservare a ogni costo. E non è vero che in tempo di crisi economica tutto è permesso. Così come, per le stesse ragioni, non è vero che le oscillazioni dello spread possano giustificare la sistematica distruzione di ogni cosa considerata inutile con il rullo compressore del rigore e del taglio alla spesa. In questo senso, l’utilità dei saperi inutili, di cui sto parlando, si contrappone radicalmente all’utilità dominante che, in nome di un interesse esclusivamente economico, sta progressivamente uccidendo la memoria del passato, le discipline umanistiche, le lingue classiche, l’istruzione, la libera ricerca, la fantasia, l’arte, il pensiero critico e l’orizzonte civile che dovrebbe ispirare ogni attività umana. Ho pensato – in appendice – di affiancare alle mie brevi riflessioni anche un brillante (e purtroppo poco conosciuto) saggio di Abraham Flexner del 1937, poi ripubblicato nel 1939 con nuove aggiunte, che per la prima volta viene tradotto in francese. Tra i più autorevoli fondatori dell’Institute for Advanced Study di Princeton – nato proprio con lo scopo di proporre una quête libera da qualsiasi vincolo utilitaristico e ispirata esclusivamente dalla curiositas dei suoi illustri membri, tra cui vorrei almeno ricordare Albert Einstein e Julius Robert Oppenheimer -, il celebre scienziato americano ci presenta un affascinante racconto della storia di alcune grandi scoperte per mostrare come proprio le ricerche scientifiche teoriche considerate più inutili, perché prive di qualsiasi scopo pratico, hanno inaspettatamente favorito applicazioni, dalle telecomunicazioni all’elettricità, rivelatesi poi fondamentali per l’umanità.
Ora mi preme sottolineare la vitale importanza di quei valori che non si possono pesare e misurare con strumenti tarati per valutare la quantitas e non la qualitas. E, nello stesso tempo, rivendicare il carattere fondamentale di quegli “investimenti” che producono ritorni non immediati e, soprattutto, non monetizzabili. Il sapere si pone di per sé come un ostacolo al delirio d’onnipotenza del denaro e dell’utilitarismo. Tutto si può comprare, è vero. Dai parlamentari ai giudici, dal potere al successo ogni cosa ha il suo prezzo. Ma non la conoscenza: il prezzo da pagare per conoscere è di ben altra natura. Neanche un assegno in bianco potrà permetterci di acquisire meccanicamente ciò che è esclusivo frutto di uno sforzo individuale e di una inesauribile passione. Senza grandi motivazioni interiori, la più prestigiosa laurea acquistata con i soldi non ci apporterà nessuna vera conoscenza, non favorirà nessuna autentica metamorfosi dello spirito. Ma c’è di più. Solo il sapere può sfidare ancora una volta le leggi del mercato. Io posso mettere in comune con gli altri le mie conoscenze senza impoverirmi. Posso insegnare a un allievo la teoria della relatività o leggere assieme a lui una pagina di Montaigne dando vita a un miracoloso processo virtuoso in cui si arricchisce, nello stesso tempo, chi dona e chi riceve. Abbiamo bisogno dell’inutile come abbiamo bisogno per vivere delle funzioni vitali essenziali . «La poesia, il bisogno di immaginare, di creare – ha scritto Eugène Ionesco – è fondamentale per noi come l’atto stesso del respirare». È nelle pieghe di quelle attività considerate superflue che possiamo trovare lo stimolo a pensare un mondo migliore, a coltivare l’utopia di poter attenuare, se non cancellare, le diffuse ingiustizie e le penose disuguaglianze che pesano come un macigno sulle nostre coscienze. Soprattutto nei momenti di crisi economica, quando le tentazioni dell’utilitarismo e del più bieco egoismo sembrano essere l’unica stella e l’unica ancora di salvezza, bisogna capire che l’inutile può dare un senso alla nostra vita”.