“Viene viene la Befana, vien dai monti a notte fonda…”. Ve la ricordate? Così Giovanni Pascoli, il poeta dei buoni sentimenti, scriveva in una delle poesie che più parlano al cuore dei bambini. Ed ancora “Vien di notte, con le scarpe tutte rotte” aggiungeva una delle tante filastrocche popolari create sul mitico personaggio. E un antico detto recita: “l’Epifania tutte le feste porta via”. E così col 6 gennaio finiscono le gioiose manifestazioni religiose di dicembre e terminano pure le vacanze natalizie per scolari e studenti. Finite le baldorie e le grandi abbuffate di fine anno ( altro che crisi economica!), si torna alla normalità, ai soliti problemi di tutti i giorni, dal lavoro allo studio, alle tasse. Ma cosa vuol dire “Epifania”? E che rapporto ha con la Befana, la simpatica vecchietta che nella notte del 6 gennaio i bambini buoni aspettano con ansia e quelli, diciamo, disobbedienti, temono pensando di ricevere solo calze piene di carbone e cenere? (Eh, in illo tempore cenere e carbone; ed oggi? comunque qualcosa di buono la calza l’avrà! Eh, neanche il tempo della Befana è più educativo come una volta! Perdonate questa breve digressione, ma non ne potevo fare a meno!) L’Epifania, nella tradizione cristiana, indica il giorno in cui i Re Magi, guidati da una stella, giunsero alla grotta di Betlemme per dare al neonato Bambinello i loro doni: oro, perché Egli era un Re, anzi il Re dei Re; incenso perché il suo aroma era gradito a Dio e la mirra perché avrebbe saputo amare fino alla morte. I nomi tramandatici dalla tradizione sono Melchiorre di veneranda età, Gasparre il malato e Baldassarre il povero. Consegnati i doni , i tre se ne tornarono alle loro città di origine e vissero felici e contenti ancora per lungo tempo. Ma la tradizione non si ferma qui e sostiene che all’inizio i Magi non erano tre ma quattro. Sperdutosi nel deserto, il quarto vagò per tutta la vita e solo quando divenne molto vecchio riuscì a trovare la strada che lo conduceva a Gerusalemme, giusto per vedere Gesù sofferente sulla croce. “ Gesù – gli disse – ho vagato tanto per trovarti, ma mi sono perso per la strada. Ho dato i doni che portavo per te ad un bambino. Perdonami perciò se mi presento a mani vuote…”. E gesù agonizzante gli rispose: “ Capita a molti in questa terra di perdere la strada…perciò ti perdono, ma non perché sei giunto a me in ritardo, ma perché fosti tu il primo a darmi i tuoi doni, quando m’incostrasti nel deserto. Quel bambino ero io!”. La Chiesa cristiana per non dimenticare la consegna dei doni portati a Gesù dai Re Magi, stabilì la festa dell’Epifania nell’813, separandola da quella del Natale. Prima di questa data, infatti, la cristianità celebrava un’unica festività che durava dodici giorni, il primo dedicato alla nascita di Gesù e l’ultimo alla donazione dei Magi. E poiché il primo giorno era allora dedicato alla preghiera, l’ultimo fu dedicato ai regali. Era una figura pagana dell’antica Roma, l’antenata della nostra Befana: la “dea della notte” che abitava nell’Olimpo insieme alle altre divinità e veniva fuori soltanto una volta all’anno per portare regali ai bambini. Si chiamava Strenia e dal suo nome deriva il sinonimo di regalo: strenna o “strinna” che ricorda il regalo raccattato dai bambini in alcune aree della Calabria, come nelle Serre vibonesi. Nella Roma imperiale, era “strenia” il dono offerto ai potenti nei giorni di festa, soprattutto le “calende”, il nostro capodanno.
Per i suoi spostamenti non utilizzava la scopa ma un cocchio celeste trainato da bianchi cavalli ed era giovane e bella; non si stancava affatto e non aveva fame chè era ricca già di suo nell’Olimpo di Giove. I suoi doni non raggiungevano soltanto i figli di Cicerone, di Attilio Regolo o Scipione, giusto per citare la gente più importante del tempo, ma facevano felici anche le case dei contadini che lei trovava vuote: erano tutti nelle campagne, vecchi e bambini, a salutare la fine dell’anno con grandi falò che bruciavano le stoppie dell’ultimo raccolto, come rito propiziatorio per il nuovo anno sulle terre. Da qui, sicuramente, la tradizione tutta romagnola che vede la generosa “vecchietta” bruciata, nella forma di un pupazzo di fieno, nelle piazze delle città come nelle campagne. Secondo gli antropologi: “con quei falò si rinnovano riti arcaici: la Befana, l’immagine della pagana Madre Natura che, ormai invecchiata, ha bisogno di rinnovarsi e rinascere a nuova vita. Il fuoco è purificatore e le ceneri, nell’antica Roma come oggi, sono il simbolo magico di fecondità per i nuovi raccolti. La tradizione popolare cristiana, però, non sapendo come giustificare i regali dell’Epifania (anche se in taluni paesi sopravvive ancora la metafora dei tre Re Magi che come Babbo Natale dispensano doni ai bambini per le vie), s’inventò la Befana che così divenne la personificazione stessa dell’Epifania. E la nostra moderna Befana? È nata tra il 1890 e il 1895 da un idea di un vecchio notaio di San Giovanni a Teduccio che ne aveva parlato, per primo, tra una favola e l’altra di quelle antiche e pagane, ad un nipotino per il quale scelse la simpatica vecchietta stracciona con la scopa da cavalcare. Nacque così la bella favola della Befana che “vien di notte con le scarpe tutte rotte.” E qualcuno ha scritto che non poteva che nascere a Napoli la cui gente “di favole si ciba come dell’aria che respira.” Nell’iconografia essa è rappresentata come una vecchia, brutta ma generosa, che durante la notte del sei gennaio entra nelle case scendendo dalle cappe dei camini (di chi li ha) per dare ai bambini buoni i regali desiderati, e a quelli cattivelli o discoli calze piene di carbone, di cenere, di agli o cipolle. È ancora tradizione, in alcuni paesi, nelle case prive di camini, lasciare socchiusa una finestra per consentire alla Befana di entrare e porre sulla soglia un cencio camuffato da vecchina. Povera vecchietta l’avevano fatta quasi scomparire negli anni Settanta del secolo scorso con una legge dello Stato, approvata dal parlamento nel 1977 e applicata dal ’78, che imponeva a scolari e studenti il ritorno a scuola proprio il giorno dell’Epifania e solo perché (stranezze del nostro Bel Paese) c’era bisogno di guadagnare una giornata lavorativa, preziosa per la nostra economia ed i conti delle aziende. Per fortuna, nel 1983, la simpatica e generosa Befana ritornò a far felici tantissimi bambini e ad educare quei pochi bimbi “disobbedienti”. Insomma, derisa, vituperata, bruciata ogni anno nelle campagne e sulle piazze di buona parte dell’Italia settentrionale, la vecchia Befana è ancora viva, come la sua bella ed importante favola.