Una domenica uggiosa di fine maggio, piovosa come in autunno, ci si inoltra, con una simpatica comitiva, verso le terre antiche del Pollino che offre panorami e paesaggi mozzafiato. Dopo due orette di viaggio, dal mare alla collina, eccoti di fronte giganteschi contrafforti rocciosi che incutono, perché no, paura. Siamo arrivati alla meta. Subito l’accoglienza e l’ospitalità, tipiche delle popolazioni greche e magno greche nonché montane, ci fanno sentire come a casa: le guide- navetta, i bar, il punto degustazione e, come no, anche il ristorante con una cucina tipica, di qualità da leccarsi i baffi e senza fine. In questi ultimi anni, inserito nel circuito turistico dei Borghi più belli d’Italia e di recente decretato, anche, Bandiera arancione del Touring Club, non troppo antico borgo, fondato, alla stessa stregua dei nostri vicini San Nicola dell’Alto, Carfizzi e Pallagorio, intorno al 1476 da una comunità di albanesi in fuga dalla propria terra assediata dai Turchi.
Stiamo dicendo di Civita, in provincia di Cosenza, a pochi chilometri dal centro più popoloso che è Castrovillari e ad un tiro di schioppo dal litorale jonico di Villapiana. È il caratteristico paese collinare chiuso da imponenti parete rocciose a strapiombo che formano le spettacolari gole del Raganello, meta continua di escursionisti, ambientalisti e cultori anche stranieri. Circa l’origine del toponimo, l’etimologia arberesh la indica come “cifti”, che vuol dire “coppia” e ciò dalla struttura urbanistica divisa in due quartieri: Sant’Antonio nella parte alta e più antica e Magazzeno. Ma v’è chi, invece, indica il nome “qifti”, aquila e da qui “Nido d’aquila”. Certamente se si fa una escursione a Civita la si fa esclusivamente per vedere una meraviglia della natura, un bel dono del Creato, il resto verrà dopo.
Subito giù nella profonda vallata, a piedi o con le navette, a sgranare gli occhi davanti alle “Gole del Raganello” che sono, sicuramente, l’area più austera e selvaggia di tutto il Parco Naturale del Pollino. È un canyon abbracciato da imponenti pareti rocciose che l’attraversano per 3 chilometri dalla vallata della fiumara fino a 900 metri sul livello del mare. Qui la natura forma delle gole che prendono il nome dal torrente che le bagna, il Raganello dal greco “ragas”, fenditura della roccia; c’è anche chi fa derivare il toponimo dall’espressione dialettale “ragàre” , trascinare tutto, detriti di ogni sorta, verso la pianura, verso il mare. Le gole sono sormontate dall’antico “ponte del diavolo” che resiste al tempo e alle tremende intemperie che qui non possono mancare. È un ponte in muratura a sesto acuto, edificato per collegare lo Jonio con la catena montuosa del Pollino. Roba d’atri tempi, d’alta ingegneria. Perché fu dato il nome del diavolo, perché questo piacere a Satana. Da informazioni sommarie, ovviamente è leggenda, si apprende che un locale proprietario terriero avrebbe chiesto al diavolo di costruire un ponte sul torrente, data la posizione alquanto scomoda e pericolosa. Il diavolo accettò, e ci mancherebbe, ma a una condizione: in cambio l’anima della prima persona che lo avesse attraversato. Giunto a patti con il proprietario, il diavolo edificò il ponte in una notte tra la nebbia e il freddo invernale. Alla fine dei lavori il diavolo si appostò in attesa del primo pedone ma fu ingannato perché l’uomo fece attraversare il ponte da una pecora. Ovviamente il Satana del Pollino non la prese bene e cominciò invano a distruggere quanto aveva edificato.
Ma non finì solo così: il diavolo precipitò nelle gole lasciando dietro di sé una nuvola di fumo grigio. Che dire davanti a questo spettacolo della natura? Meraviglia, stupore, timore, voglia di vedere e rivedere chè quando la vedi più una visione del genere? Girovagando, poi, tra le stradine e vicoli del borgo l’occhio ti va diritto verso le case Kodra e i caratteristici comignoli, strutture edilizie che appartengono all’antica urbanistica. Le case Kodra prendono il nome da Ibrahim Kodra, pittore albanese di gran vaglia e sono dette case “parlanti” e antropomorfe che richiamano le linee e le forme della sua pittura. La facciata di queste antiche dimore ricorda il volto umano, la grande porta al piano terra è sovrastata da una canna fumaria esterna, affiancata da due piccole finestre perfettamente identiche: bocca, naso e occhi. Dicevo dei caratteristici comignoli, vere e proprie opere d’arte povera: questi sono di origine cinquecentesca e servivano oltre che ad aspirare il fumo dei camini, tener lontani gli spiri maligni, insomma una funzione casalinga ed apotropaica. Nella piazzetta principale si può visitare il Museo etnico della cultura arbëresh istituito nel 1989 per salvaguardare e valorizzare la cultura italo albanese di questa comunità. La struttura museale è ben ricca e dinamica ma, chiusa in spazi angusti, perde il suo fascino. Poco più avanti, nella stessa piazza la chiesa parrocchiale della Vergine Assunta. Edificio un po’ barocco del ‘600 con una volta riccamente abbellita con pitture e mosaici dell’Immacolata, di san Biagio, della Trinità e della Madonna del Rosario. Ovviamente, professando la comunità il rito cristiano greco – bizantino, nella chiesa vi è la caratteristica iconostasi che divide la navata centrale dall’altare maggiore e costruita in legno e abbellita da numerose icone bizantine appunto. Al postutto una visita a questo attraente borgo cosentino del Pollino è consigliata per tanti motivi: storico -culturali e sociologici.