Ancora una volta, la scuola italiana si trova nell’occhio del ciclone per casi di violenza su minori. Non è mia intenzione schierarmi “a priori” in difesa del personale docente tutto, composto da persone che compiono il proprio dovere anche tra mille difficoltà e sacrifici personali ma, il mio scritto vuole essere un tentativo e un invito ad un’analisi razionale e obiettiva della realtà in cui si trovano a operare i docenti. In una società come la nostra in cui termini quali educazione, rispetto di sé, rispetto degli altri e della roba degli altri sembrano essere “idoli vani senza soggetto” ossia parole inutili, prive di significato; i latini direbbero, flatus vocis, cercare di andare controcorrente appare impresa molto ardua. Basti pensare che dei vari soggetti educanti, vedi per esempio famiglia, chiesa, scuola, società civile in genere, solo la Chiesa ha saputo individuare con senso critico e con grande spirito realistico che il tema più arduo, importante e fondamentale da affrontare nella società contemporanea nel decennio 2010 – 2020 sia il problema educativo. In proposito basta leggere il documento ufficiale della CEI dal titolo ”Orientamenti pastorali per gli anni 2010-2020 :Educare alla vita buona del Vangelo” in cui i Vescovi italiani non nascondono le difficoltà di chi si trova a educare…”Non ignoriamo, certo, le difficoltà che l’educazione si trova oggi a fronteggiare. Fra queste, spicca lo scetticismo riguardo la sua stessa possibilità, sicchè i progetti educativi diventano programmi a breve termine,mentre una corrente fredda scuote gli spazi classici della famiglia e della scuola. Noi stessi ne siamo turbati e sentiamo l’esigenza impellente di ribadire il valore dell’educazione a partire da questi suoi luoghi fondamentali”. Parole sacrosante ma che rischiano, purtroppo, di cozzare contro il muro dell’indifferenza e di una tragica realtà. Oggi, ma forse è sempre stato così, si tende a scaricare sulla scuola tutti i mali della società per cui, se i ragazzi sono violenti, la colpa è della scuola che non sa educarli. Nulla di più sbagliato. Se la famiglia non educa in positivo, è chiaro che i ragazzi a contatto con la società educante, scuola, portano tutti i loro problemi in classe: vedi per esempio problemi a livello comportamentale, problemi a livello relazionale, l’insegnante, novello cireneo, deve cercare di porvi rimedio. Ma, con tutta la buona volontà, il suo impegno è destinato a naufragare di fronte a manifestazioni di eccessiva turbolenza e spesso di rifiuto da parte dei soggetti interessati. Da più parti si afferma che la famiglia è in crisi profonda e i ragazzi sono allo sbando e non sono disposti ad accettare regole. Di fronte a tale realtà, la classe diventa una bolgia dantesca e serve tanto, tanto eroismo al povero insegnante per fronteggiare minimamente tale situazione. Al minimo errore da parte del docente, tutti sono pronti a gridare “ Al lupo! Al lupo!” Nascono anche proposte, a mio avviso, strane e stravaganti quali sottoporre a visita psico-attitudinale periodica il personale docente, eludendo così il problema di fondo che resta sempre irrisolto: sono i docenti esauriti, stressati, disimpegnati menefreghisti e quindi esposti alla tentazione di usare mezzi coercitivi a volte violenti su minori o sono i “soggetti educandi” che consapevoli o no, risultano refrattari a qualsiasi regola di civile comportamento? Una risposta la trovo in un grande pedagogista Lombardo Radice quando afferma che noi possiamo dare anche una scuola d’oro ai ragazzi ma, a nulla serve, se il soggetto interessato non è disponibile ad apprendere.
Prof. Giuseppe Fedele