Recentemente la Casa Editrice Ferrari Editore di Rossano ha pubblicato un’interessante e corposa silloge di poesie dal titolo “La smemoria del tempo” del poeta Gennaro Oriolo, originario di Crosia scomparso di recente. In dette poesie si evidenzia il disincanto, la disillusione dell’autore che guarda la vita dell’uomo nel fluire del tempo con occhi “smagati”, disillusi. Il tempo nella sua varietà e complessità ci dà solo qualche oasi di ristoro e di serenità soggettiva, legata ad alcuni momenti di esperienza personale vissuta intensamente e che il poeta vorrebbe prolungare all’infinito, ma nel suo scorrere cancella molti ricordi e ne conserva solo pochi, dolci o amari, e soprattutto da quel che trattiene è difficile, quasi impossibile trarre e conservare elementi di senso e di verità. Non c’è quindi un potere ricostruttivo della memoria, uno svolgimento progressivo della storia verso una meta sia pure umana, né tanto meno un aprirsi al trascendente tramite le religioni positive affermatesi storicamente. C’è sì nel poeta l’anelito, la sete di verità, ma nell’analisi dell’esperienza umana prevale il dubbio che tutto mette in crisi, anche verità “consolidate” che sembravano incrollabili: il poeta fa riferimento al crollo di tutte le ideologie e anche delle varie forme di fede religiosa che, essendo in conflitto le una con le altre, invece di avvicinarci a una plausibile idea di Dio ce ne allontanano; mette in risalto anche le tante violenze e morti che esse stesse hanno disseminato lungo il percorso della storia. Da qui il gusto per l’ironia, la dissacrazione, l’ossimoro, per cui ogni affermazione si può risolvere e rovesciare nel suo contrario. Una chiave d’interpretazione del suo pensiero ce la danno , forse, alcune poesie: “E tu, gentile signora”(p.28); “La misura del tempo” (p.46); “Sulla strada di Elea” (p.55); “Cattedrale cosmica” (p.56); “Cammina l’uomo”(p.62), dove il poeta sembra optare per l’essere parmenideo e la sua immanenza.
Questo pensiero filosofico, rivisitato attualmente dal filosofo Emanauele Severino, evidenzia che nell’essere non c’è separatezza tra le realtà terrene e l’eterno, non c’è divenire: tutto si muove all’interno dell’essere, senza un tendere progressivo, un divenire: essere e non essere sono il manifestarsi e il nascondersi (non annullarsi ) dello stesso essere. In questo contesto di pensiero scompare l’idea di Dio, e il tempo, come sviluppo progressivo verso una meta o l’approdo all’eternità, perde la sua consistenza. Tutto si muove nell’immanenza e il tempo è “una variabile dell’inessenza del vivere”. Per Oriolo,quindi, la verità è inconoscibile e inafferrabile. Il poeta, di conseguenza, è orientato verso la debolezza del pensiero umano che invita a cogliere e gustare come “acqua fresca” le semplici e genuine esperienze soggettive che solo la poesia, nel suo esercizio di libertà e di illusione, ci fa vivere molto intensamente, prolungandole come se avessero il sapore dell’eternità. Nel rappresentare la realtà Oriolo utilizza una grande varietà di espressioni formali: passa dal colloquiale al solenne classico, da questa forma alta di espressione poetica allo scherzo, alla derisione. Tutto arricchito da una varietà di lessico che si avvale di arcaismi, del linguaggio corrente, di neologismi e anche di parole straniere, soprattutto inglesi. Si notano qua e là anche reminiscenze letterarie naturalmente e consapevolmente incastonate in alcune poesie. In conclusione il poeta Oriolo con la sua sete di verità, che ha per sfondo il disincanto, a tratti spezzato da una sua profonda e commossa partecipazione soggettiva ad alcune esperienze esistenziali, ci offre un atto poetico come “acqua fresca” a cui dissetarci in un mondo che si fa sempre più arido di verità e di bene, sempre più privo d’illusioni e di speranza.
Giacomo Barbalace