Nella ricorrenza del quindicennale della morte della grande poetessa milanese Alda Merini, avvenuta l’1 novembre 2009, l’associazione “Le Lampare” ha chiesto al prof. Rocco Taliano Grasso un ricordo di lei e del suo primo alloro poetico: il Premio letterario nazionale “Città di Cariati”, assegnatole il 9 luglio 1989. Le gustose e toccanti memorie che seguono accrescono la nostalgia di quelle stagioni in cui la nostra cittadina sapeva collocarsi nei circuiti della grande cultura nazionale con iniziative di prestigio, come il Premio letterario e, accanto, il Premio Giornalistico Nazionale “Gaetano Natale”, illustre giornalista e scrittore cariatese, per ben 15 anni Presidente della Stampa Parlamentare.
“Le Lampare” auspicano che si possa riprendere la strada interrotta e, magari, che si dedichino dei toponimi appropriati ai cittadini cariatesi scomparsi che hanno onorato il paese con il loro impegno in vari campi, ed anche alla grande poetessa che amava il Sud e voleva ritornare in mezzo a noi.
Quei giorni infiniti con Alda Merini , di Rocco Taliano Grasso
Quando penso ai giorni trascorsi nel luglio del 1989 in compagnia di Alda Merini, non posso fare a meno di ricordare quel passo della lettera agli Ebrei in cui, a proposito di ospitalità, san Paolo scrive che alcuni hannoaccolto degli angeli senza saperlo.
Tutto cominciò quando quell’anno chiesi per telefono all’editore Scheiwiller di partecipare al nascente Premio letterario di poesia edita Città di Cariati, fondato dall’associazione culturale Civitas Cariatensis. Il grande editore milanese mi sorprese, consigliandomi di estendere l’invito all’editore Crocetti che aveva appena pubblicato Testamento, un’ antologia delle poesie di Alda Merini, una sorta di nuovo caso Dino Campana, una poetessa in stato di indigenza, che aveva appena finito di affrontare lunghi e terribili anni di manicomio.
“Telefoni a Crocetti, le do il numero, se lo faccia spedire! Sarebbe bello se vincesse lei…”.
Alda vinse davvero, in virtù di un dono, di un talento espressivo clamorosamente naturale, addirittura di una forza della natura… e all’accompagnarsi alla fluidità e alla larghezza del dono, alla spontaneità, felicità e facilità della sorgente, di un oscuro e faticoso dolore, un alone di stentatezza e di pena, scrive Giovanni Raboni nella prefazione al libro.
Il giorno prima della cerimonia mi recai con la mia piccola Citroën AX all’aeroporto di Lamezia per accompagnare l’editore e la poetessa a Cariati, anzi prima all’hotel residence Chez Mario di Pietrapaola, un villaggio di accoglienti bungalow a due passi dal mare, scelto dall’associazione per ospitare tutti gli ospiti del Premio, giuria, premiati, autorità, giornalisti e altri autori. In quelle due ore e mezza di viaggio (da Milano avevano impiegato poco più di un’ora, anche se in aereo…) Alda fu subito loquace, chiedeva di tutto, sorrideva, punzecchiava l’editore… Ebbi l’impressione di un’anima purissima, bisognosa di espandersi. La trovai divertente, istrionica, nonostante Crocetti il giorno prima per telefono mi avesse avvertito che avrei avuto a che fare con un personaggio alquanto sui generis, di non preoccuparmi…
La sera della cerimonia del premio, in zona Pilé gremita, nel centro storico di Cariati, si presentò al pubblico trasandata e dimessa, si scusò di non essersi truccata abbastanza perché aveva dimenticato rossetto, mascara e tutto il resto di notte nella macchina del signor Rocco, tra le risate generali del pubblicò al mio indirizzo, là sul palco con lei! Lesse la poesia Genesi, e un fremito di commozione percorse la platea al cospetto della sua dizione lenta, grave e solenne, come se togliesse spine antiche dalla sua carne.
Trascorremmo il resto della serata a festeggiare nel villaggio Chez Mario; dopo la cena, creammo una rotonda tra i tavolini e ballammo fino a tarda notte. Alda scoprì un feeling particolare col proprietario del villaggio, l’imprenditore turistico Mario Chiarelli, si sbizzarrì con lui perfino in vorticose tarantelle.
Preoccupato di non perdere l’aereo per i tanti impegni urgenti a Milano, Nicola Crocetti mi chiese di trascorrere quella notte al villaggio. Poiché non vi erano bungalow disponibili, mi cedette il suo e lui, ricordandomi le sue notti greche sulla riva del mare, andò a dormire sulla spiaggia. Al mattino, verso le quattro, al momento della partenza, la sua gola era avvolta da un foulard, era raffreddato, me ne dispiacque. Alda, invece, uscì dal bungalow senza scarpe… Glielo feci notare e mi rispose:
“Le ho dimenticate nella stanza da letto, puoi andare a prenderle?”
Andai alla ricerca delle scarpe ma, non appena misi piede nella stanza, con grande sorpresa (e paura) mi accorsi subito di alcune cicche fumanti ancora accese sul letto che mi affrettai a spegnere.
“In tempo! – sospirai – Meglio che mi arrivi il conto delle lenzuola che quello dell’intero villaggio…”.
Pensai anche che finalmente le mie fatiche, seppure liete e filtrate dalle sue bizzarrie, stavano per finire; mi sbagliavo di grosso, bucammo dopo Cirò! Crocetti, seduto al mio fianco, era crollato dal sonno, capii che sulla spiaggia non aveva chiuso occhio. Dovevo fare da solo. Alda uscì dall’auto e, mentre sudavo e inveivo sottovoce contro la sfiga, tra cric, chiavi e ruota di scorta, lei inventava e recitava poesie sotto le stelle. Mi fece promettere che l’avrei chiamata, mi diede il suo numero. Mantenni la promessa, ci sentimmo più volte negli anni. A volte mi dettava poesie al telefono. Ero ben consapevole della sua grandezza e del privilegio che il destino mi stava regalando, così decisi di prendere appunti mentre parlava, dettava, anche se ormai, per molte cose dette, era tardi. Così, oltre ai versi, mi trovo oggi appunti del tipo: “Soffro il caldo, maledette zanzare!”.
Le rammentavo anche l’estate del Premio, il suo primo premio letterario! “Ero più bella allora!”.
“Tu sei sempre bellissima, come i tuoi versi”, cercavo di consolarla.
Parlavamo di questo e della Calabria, della mafia, quella sera del 14 agosto del ’97, alle 21 di sera, quando mi dettò la poesia Per il Sud, compresi gli accapo… Mi parlava di Manganelli, Pierri, Musatti, di Taranto, del suo grande amore per i meridionali, delle violenze subite in manicomio… Ma di lei si stavano già impadronendo la tv, la grande editoria, la stampa. La ascoltavo rapito e commosso al Maurizio Costanzo Show. In un’ultima telefonata mi confessò: “Pensa, dopo la mia morte, quanti amori, quante bugie inventeranno su di me.”
Non la chiamai più. Non volevo dare l’idea di approfittare della sua celebrità. Poteva fare a meno di me. Ma, in sincerità, le rimproveravo di non avere mai fatto menzione del nostro premio, il primo da lei vinto, quando non era nessuno…
Trascorsero alcuni anni finché un giorno ricevetti una telefonata della rinomata poetessa catanzarese Giusi Verbaro, presidente della giuria del Premio Cariati: “Rocco, all’aeroporto di Fiumicino ho incontrato Alda Merini. Ti saluta, vuole sapere perché non la chiami più…”
Alda non mi aveva dimenticato, e nemmeno il nostro Premio! La richiamai per invitarla di nuovo a Cariati per il suo show Milva canta Merini. Ne fu felice: “A Cariati ritornerei volentieri!” Ma mi resi conto che doveva essere molto malata; consigliò di contattare il suo manager. Mi diede un numero di cellulare, chiamai subito. “Parlo con il manager di Alda Merini?” chiesi disinvoltamente. “No, lei parla con Milva…”. Rimasi un po’ in silenzio per la sorpresa: Milva, un mito per me fin da ragazzo…
“Mi confermò le precarie condizioni di salute di Alda, mi spiegò che si sarebbero esibiti solo in tournée affinché, tra uno spettacolo e l’altro, la poetessa avesse il tempo di riposare. Ora che non c’è più, penso alle parole di un’altra telefonata custodite tra i miei appunti: “I poeti sono immortali”. E ringrazio Iddio del privilegio immenso, che allora non capivo pienamente, di quel mio scrigno di memorie di mare, sole, poesia e goliardia con lei, di quei giorni, pochi ma infiniti, che porterò sempre gelosamente nel cuore.