di Franco LIGUORI, storico
Sessant’anni fa, con un grande impulso al dialogo ecumenico e cammino di aggiornamento della Chiesa cattolica, si aprivano i lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II, il ventunesimo in tutta la storia della Chiesa, chiamato ad affrontare problemi dottrinali e pastorali e destinato ad incidere sull’attuale storia recente della Chiesa cattolica. Da quella straordinaria sera dell’11 ottobre 1962, quando Giovanni XXIII, il “Papa buono”, dalla finestra del Palazzo apostolico inviò una carezza a tutti i bambini della terra, suscitando un’ondata universale di tenerezza commossa, che al suo sguardo paterno sembrava coinvolgere persino la luna, enormi trasformazioni sono avvenute nella vita della Chiesa e del mondo. Grazie al Concilio Vaticano II, inaugurato quel giorno, si può dire che i processi della storia della Chiesa e della vicenda dell’umanità intera si sono avvicinati e intrecciati come forse mai prima era avvenuto. In quel Concilio, da lui fortemente voluto ed annunciato fin dal gennaio 1959, nonostante le forti resistenze della Curia, Giovanni XXIII prese le distanze dai “profeti di sventura” che vedevano il mondo precipitare nel caos e nella rovina, e affermò, al contrario, una visione fiduciosa, fondata sui segni di ripensamento rispetto alla considerazione della persona umana, agli effetti negativi della violenza e della prevaricazione. La Chiesa di Papa Giovanni faceva appello alla misericordia e guardò all’ecumenismo , al dialogo con le altre religioni, in una prospettiva di unità del genere umano. Parlando ai “padri conciliari” (intervenuti in numero di 2.494), ai cardinali, alle 85 delegazioni straniere, ai rappresentanti di altre confessioni religiose, riuniti nella navata centrale della Basilica di San Pietro, così si espresse: “La buona Provvidenza ci sta conducendo a un nuovo ordine di rapporti umani, che si volgono verso il compimento dei suoi disegni superiori e inattesi. Nessuna paura, dunque, nessuna ostilità verso ciò che è nuovo! Bisogna predisporsi a comprendere il mondo presente per poter aprire un dialogo, con l’uomo d’oggi, il quale è per l’appunto l’argomento centrale del Concilio. Cerchiamo di capire, invece di condannare, perché la Chiesa, oggi, preferisce fare uso della medicina della misericordia piuttosto che della severità”. Il Concilio fu articolato in dieci commissioni permanenti, che proponevano all’assemblea plenaria i temi della discussione. Si svolse in quattro sessioni; i lavori si chiusero l’8 dicembre 1965. Giovanni XXIII, che l’aveva indetto e guidato fino alla chiusura della prima sessione, non venne a conoscenza delle conclusioni perché scomparve il 3 giugno 1963. Paolo VI, eletto suo successore nel 1963, chiuse i lavori l’ 8 dicembre 1965,facendosi garante dell’unità della Chiesa, dilaniata in quegli anni dalle tensioni sociali postconciliari e dai contrasti interni tra innovatori e conservatori. Da esso sono derivati importanti cardini: quattro Costituzioni, nove Decreti e tre Dichiarazioni: Dei Verbum sulla Parola di Dio, Lumen Gentium sulla Chiesa, Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia e Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo di oggi. Il Concilio si sforzò, in definitiva, di portare un rinnovamento nella Chiesa, per renderla capace di saper trasmettere il Vangelo e di cercare vie di unità con le altre confessioni, di instaurare un dialogo con il mondo moderno, puntando “su ciò che ci unisce e non su ciò che ci separa”, come ebbe a dire Papa Giovanni nel celebre “discorso alla luna” dal balcone della basilica di S.Pietro.
Scrive il giornalista Roberto Montoya in un recente articolo pubblicato sul sito di RAI-News 24, che “dal lontano 1962 il Concilio incoraggia la chiamata, oggi più che mai attuale, a recuperare la vitalità di quanti vogliono rispondere con onestà e fermezza al Vangelo in questo mondo concreto, e nuovo, in cui siamo immersi”. Giovanni XXIII, il papa del Concilio, fu veramente un pontefice “rivoluzionario” e individuò nella ingiustizia sociale “il problema maggiore dell’epoca moderna”, come scrive nell’enciclica “Mater et Magistra”, emanata il 15 maggio 1961. Il suo messaggio è ancora oggi attualissimo. Papa Francesco, nel ricordare il 60° anniversario della sua apertura, ha esortato a “tornare al Concilio” , a“ritrovare la passione del Concilio”. Ma ecco le parole della sua omelia: “Sempre c’è la tentazione di partire dall’io piuttosto che da Dio, di mettere le nostre agende prima del Vangelo, di lasciarci trasportare dal vento della mondanità per inseguire le mode del tempo o di rigettare il tempo che la Provvidenza ci dona per volgerci indietro. Stiamo però attenti: sia il progressismo che si accoda al mondo, sia il tradizionalismo, o ‘indietrismo’, che rimpiange un mondo passato, non sono prove d’amore, ma di infedeltà”.
La Chiesa di Cariati ai tempi del Concilio
La nostra cittadina, che, ai tempi del Concilio (1962-1965) era ancora sede vescovile autonoma (Diocesi di Cariati), ebbe il privilegio di vivere “da vicino” quello straordinario evento storico, attraverso il quale la Chiesa cattolica si aprì soprattutto al mondo, così assetato di giustizia, e, quindi, di “buona novella”. La Diocesi di Cariati,il cui territorio (dal Nicà al Neto) ricadeva in gran parte nell’odierna provincia di Crotone, nei primi anni ’60, aveva una popolazione di circa 70 mila abitanti, distribuiti in 30 parrocchie e quattro Vicariati foranei. I sacerdoti diocesani erano in numero di 30, i seminaristi del nostro Seminario erano una quarantina; sommati a quelli che frequentavano il Seminario Regionale di Catanzaro, arrivavano a 60. La popolazione del comune di Cariati era di oltre settemila abitanti. Erano gli anni della più massiccia emigrazione dei nostri lavoratori verso la Germania e la Svizzera: anni di duri sacrifici, ma anche di grandi speranze e di fiducia in un futuro migliore. Vescovo di Cariati, in quel periodo, era Mons. Orazio Semeraro, eletto nel 1957, proveniente dalla cittadina pugliese di Ostuni (BR), dove era stato Rettore del Seminario e Vicario di quella diocesi. La pagina più importante dell’episcopato di Semeraro resta proprio la sua partecipazione come “padre conciliare”, al Concilio Ecumenico Vaticano II. La partecipazione al Concilio, da lui seguito diligentemente, influì notevolmente su di lui che non solo tenne informata la sua diocesi dei lavori conciliari, ma iniziò subito a diffondervi gli orientamenti e a metterne in luce la grande rilevanza per la Chiesa universale. Il vescovo Semeraro fece sentire anche a Cariati e nella sua diocesi il clima di fiducia e di speranza in un mondo migliore e più giusto, creato dal Papa buono, da Giovanni XXIII, con l’indizione del Concilio. Dalle adunanze delle sessioni del Concilio, alle quali partecipò assiduamente, accompagnato da Don Alessandro Vitetti o dall’arciprete Maone, il vescovo di Cariati, filosofo e teologo, tenne diligentissimi appunti dai quali trasse le “informative”, attraverso documenti e lettere pastorali inviate ai suoi diocesani; da esse traspare il rapporto cordiale, sincero del padre conciliare con la complessità dei temi affrontati dal Concilio. I Bollettini Diocesani di quegli anni contengono informative e istruzioni per avvicinare la Chiesa di Cariati alle direttive del Concilio.
Una “Nuova Pentecoste”
Il vescovo Semeraro, in una sua Lettera pastorale del 1963, ebbe a definire il Concilio Ecumenico Vaticano II, una “nuova Pentecoste”, richiamandosi alle parole di papa Giovanni XXIII, che aveva parlato di “una novella Pentecoste della Chiesa”. “C’è una mirabile analogia” – scrive Semeraro- “tra l’assemblea del Cenacolo e quella della Basilica Vaticana sotto un triplice aspetto: storico, spettacolare e mistico”. E così continua: “Nel Cenacolo si svolse un avvenimento storico eccezionale, decisivo per l’avvenire della Chiesa; là ha inizio la sua storia, là si scrive la prima data e si pianta la pietra miliare n.1 della civiltà cristiana (…). La Pentecoste fu la rivelazione della Chiesa agli occhi del mondo, poiché il miracolo stupì non solo la città di Gerusalemme, ma tutta la folla degli stranieri là convenuta da ogni parte. Non vi sembra evidente l’analogia con il Concilio Ecumenico ? In S.Pietro- meraviglioso Cenacolo della cattolicità- sono convenuti i successori degli Apostoli, sotto il segno di Maria, ed hanno svelato, con uno spettacolo incomparabile, agli sguardi non solo di Roma ma di tutto il mondo, il volto luminoso della Chiesa di oggi”. Il Vescovo di Cariati fu entusiasta della sua partecipazione a quello straordinario evento della storia della Chiesa cattolica (839D fu il posto a lui assegnato tra gli scranni della Basilica di S.Pietro). Lo dichiara esplicitamente nella sua Lettera Pastorale per la Pentecoste del ’63 : “Chi può dimenticare quello spettacolo?. Voi lo avete goduto alla televisione, noi lo abbiamo vissuto da vicino, e vi confessiamo che non siamo riusciti ad abituarci. Era ogni giorno uno spettacolo nuovo e interessante che riempiva l’anima di stupore (…). Si deve parlare veramente di una nuova Pentecoste, tanto più che l’aspetto esteriore e spettacolare dell’avvenimento era animato dalla presenza dello Spirito Santo”.
Chi scrive, che, ai tempi del Concilio, era giovane studente ginnasiale al Liceo –Ginnasio “Pitagora”di Crotone, e risiedeva a Cariati Superiore, a due passi dalla Cattedrale e dall’episcopio, conserva vivi ricordi di quella felice stagione, quando il nostro paese svolgeva un ruolo importante e vitale nella Calabria ionica cosentina e crotonese, che gli derivava dall’essere capoluogo di una vasta Diocesi, i cui paesi avevano in Cariati un punto di riferimento significativo, e non solo religioso. Vivacissima era l’attività svolta, in quegli anni, dall’Azione Cattolica, che coinvolgeva tutte le fasce d’età. Lo scrivente ricorda la grande Missione dei Padri Passionisti ,nel marzo del ’64, voluta e organizzata dal vescovo Semeraro, e da lui annunciata in cattedrale, esortando i fedeli a pregare per la riuscita del Concilio in corso.
Quando Mons. Angelo Roncalli venne a Cariati
Chiudiamo questo nostro “ricordo del Concilio”, riferendo di una curiosità storica che è nota a pochi. Quarant’anni prima dell’inizio del Concilio (16 novembre 1922), giunse a Cariati Mons. Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, il papa del Concilio. Era vescovo di Cariati, all’epoca, mons. Giuseppantonio Caruso, che lo ricevette in episcopio. L’occasione per Mons. Roncalli, allora quarantunenne, di venire in Calabria, fu offerta dall’incarico affidatogli dalla Curia nel 1921 di Presidente del Consiglio Centrale per l’Italia della “Pontificia Opera della Propaganda della Fede”. Di questa visita in Calabria, in treno, con tappe in tutte le sedi vescovili (Reggio Calabria, Bova, Squillace, Catanzaro, Santa Severina, Crotone, Cariati, Rossano, Cassano Jonio ) rimane traccia in un resoconto autografo dello stesso mons. Roncalli in cui sono annotate minuziosamente le stazioni ferroviarie e gli orari degli arrivi e delle partenze dei treni.
Nota bibliografica
E. GUERRIERO ( a cura di), Il Concilio Vaticano II ,Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2005
R. e F. LIGUORI, Cariati nella storia, Stampa Lito Ferraro,Cirò Marina 1981, pp.249-251
F. LIGUORI, Mons. Orazio Semeraro, il vescovo di Cariati che partecipò al Concilio Ecumenico Vaticano II (relazione inedita, svolta ad Ostuni il 20 ott.2018, in occasione di un incontro culturale organizzato dai Rotary Club di Ostuni e di Cariati)
G. SCARPINO, Quando il giovane Angelo Roncalli venne in visita nella nostra regione, in “Gazzetta del Sud”, 05 febbraio 2009