Le condizioni in cui versa il servizio sanitario in Calabria sono drammatiche. Ad oggi gli unici ospedali che detengono strutture, apparecchiature e capitale umano utile a poter fronteggiare l’avanzata della pandemia che giocoforza impatterà la nostra Regione nelle prossime settimane, sono i 4 ospedali HUB di cui la Regione dispone.
Appare assolutamente impraticabile allo stato, la possibilità di fruire delle strutture spoke sparse nel territorio regionale, per arginare l’avanzata epidemica che ci apprestiamo a fronteggiare. Intanto, negli ospedali di primo livello, mancano le risorse umane nonché le postazioni intensive e sub-intensive che potrebbero dare concreta risposta; allestire fortini negli ospesali spoke, oltre ad essere dispendioso richiede tantissimo tempo, che non abbiamo, nonché l’utilizzo di maestranze che ad oggi sono assolutamente assenti nel territorio regionale, eccezion fatta appunto per gli Hub.
Va da sé che valutare la possibilità di spostare i degenti non Covid-19, attualmente allocati negli Hub di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria, verso le strutture spoke e nelle cliniche private, potrebbe rappresentare un valido palliativo al contrasto della pandemia in atto, investendo unicamente nelle postazioni intensive e sub-intensive quelle strutture che già si prestano allo scopo nonché già dotate di un capitale umano in termini di anestesisti-rianimatori atto a poter fronteggiare un impatto in termini di pazienti-Covid che altresì nelle altre strutture potrebbe portare a un inevitabile collasso.
Nel caso Jonico, essendo lo stesso carente in termini di strutture private accreditate, ad eccezion fatta per un paio di strutture in terra pitagorica, potrebbe risultare utile il riuso e la rifunzionalizzazione delle strutture dismesse di Cariati, Trebisacce, San Giovanni in Fiore ed Acri, che comunque potrebbero svolgere un valido servizio suppletivo alle strutture spoke di Corigliano Rossano e Crotone, a quel punto oberate da carichi di lavoro ordinario afferente a quelle casistiche normalmente trattate negli hub, spostando eventualmente le lungodegenze e altre terapie medicali per degenti che non necessitano di macchinari aduso nella respirazione assistita, presso le strutture edificate negli anni 70 e mai messe in funzione (Cassano, Mesoraca) dove basterebbe l’impiego e l’utilizzo di medici volontari e personale infermieristico che la Regione potrebbe reclutare.
In tal modo gli ospedali hub potrebbero essere trasformati in veri e propri centri di contrasto alla patologia Covid-19, evitando anche il proliferare del contagio, nel momento in cui giocoforza i pazienti dovessero essere trasportati da una struttura all’altra, considerata sia la precarietà del trasporto in ambulanza sia le condizioni logistiche di collegamento tra un ospedale ed un altro, che nella nostra regione (ed in area Magna Graecia soprattutto) sono ancora lontane da una condizione definibile civile.