L’arcivescovo Mons. Graziani ha esortato i “figli di don Michele” ad aprire un fascicolo da destinare ad un processo di beatificazione
Dopo l’ordinazione sacerdotale nel Duomo di Mondovì del 20 giugno 1950, don Michele Bertola venne a Cutro nel 1956, da Frabosa Sottana (CN), dove era nato nel 1924, in seguito alla richiesta di religiosi e sacerdoti missionari necessari alla ricostruzione socio – morale dopo la riforma agraria del Marchesato negli anni ’50, esigenza sentita dall’allora vescovo della Diocesi di Crotone ed Amministratore Apostolico dell’Arcidiocesi di Santa Severina Mons. Pietro Raimondi, perché, scriveva nella Relazione ad Limina del 1956, “religiosamente e moralmente duemila e cento famiglie hanno bisogno di essere aiutate, vivendo in case totalmente sparse nei campi, prive di chiese, di scuole elementari, di asili e di acqua potabile”.
La sua vita non fu solo ed esclusivamente opera di prete, non fu un curiale, si dette anima e corpo nel tessuto sociale di un territorio di non facile lettura e vivibilità come quello di Cutro del tempo.. Lasciò definitivamente la Città del Crocifisso, nel luglio del 1977 per trasferirsi in Liguria, a Pompeiana prima ed infine a Sanremo dove, nell’ottobre del 1991, con la semplicità che gli era congeniale, ha lasciato questa terra per avvicinarsi definitivamente a Dio che aveva serenamente amato e servito tramite gli uomini.
È stato assistente in Azione Cattolica prima e nel Gruppo comunitario ecclesiale detto “della Saletta” poi. Erano gli anni del post ’68. Don Michelino era con i giovani, con ognuno di loro. Ciascuno era importante per lui. Era la luce e dava luce illuminando le loro ombre. Ogni essere umano era per lui un “soggetto” da rispettare, da ascoltare, da capire, da aiutare. Voleva essere capito e perciò il suo linguaggio diventava semplice con gli umili e sapiente con gli eruditi.
Don Michele, uomo di pace, trasmetteva messaggi di pace; trasmetteva la sua certezza, la sua fede, il suo amore, la sua profonda e autentica verità anche con uno sguardo.
È stato assistente in Azione Cattolica prima e nel Gruppo comunitario ecclesiale detto “della Saletta” poi. Erano gli anni del post ’68. Don Michelino era con i giovani, con ognuno di loro. Ciascuno era importante per lui. Era la luce e dava luce illuminando le loro ombre. Ogni essere umano era per lui un “soggetto” da rispettare, da ascoltare, da capire, da aiutare. Voleva essere capito e perciò il suo linguaggio diventava semplice con gli umili e sapiente con gli eruditi.
Don Michele, uomo di pace, trasmetteva messaggi di pace; trasmetteva la sua certezza, la sua fede, il suo amore, la sua profonda e autentica verità anche con uno sguardo.
Orbene, il tempo è passato, tanti lustri son passati ma non inutilmente, don Michele è rimasto immutato nell’affetto della comunità e soprattutto dei giovani che domenica 5 maggio gli hanno voluto tributare l’omaggio di una commovente e partecipata “Giornata per don Michele Bertola – Un missionario senza tempo” che ha preso avvio, alle h 11, nella chiesa parrocchiale della SS. Annunziata, un tempo chiesa collegiale, con una concelebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo di Crotone- Santa Severina Mons. Domenicom Graziani, asssistito da don Giovanni Barbara, amministratore parrocchiale e da mons. Eugenio Aiello, Can.co della Cattedrale e giovane vice parroco, seppur per breve tempo, di don Michele.. È seguita, sul sagrato la scopertura e benedizione della statua della “Madonna della bella accoglienza”. Mimmo Stirparo ha illustrato gli obiettivi e il significato della presenza della preziosa statua, dichiarando che “ quando a noi detti ‘figli di don Michele’, balenò l’idea di organizzare un qualcosa per ricordare il nostro prete e padre, pensammo alla posa in chiesa di una scultura a tutto tondo o ad un busto che raffigurasse don Bertola. Ci fu detto che non è possibile sistemare in chiesa o sul sacrato statue di sacerdoti o altri personaggi, a meno che non siano stati dichiarati santi o beati e quindi venerabili, insomma un divieto posto dal diritto canonico. Nel nostro caso la cosa non era fattibile seppur il nostro don Michelino sia morto in odor di santità, insomma “santo senza aureola”. Così si è pensato di dedicargli una statua a nome di tutta la Comunità cutrese, una statua della Madonna, alla quale era molto devoto e che in qualche maniera ne ricordasse, quel che fu il santo prete. Si è voluto che portasse il titolo di “Madonna dell’accoglienza” perché ciò sottolinea una particolare caratteristica di don Bertola: la capacità di accogliere, ospitare, ricevere l’altro, il fratello, il povero, il bisognoso.
Questa statua è stata commissionata ad un laboratorio artistico di fraternità di Loppiano, in Toscana, sulle colline del Chianti, e ciò costituisce un alto valore simbolico. Loppiano, la Cittadella punto d’incontro tra popoli, culture e religioni; centro di testimonianza di una convivenza multiculturale basata sulla vita evangelica, fondata dal Movimento dei Focolari
Qui, negli anni si sono consolidate diverse attività economiche, tutte all’insegna di un’’economia che tiene conto dei bisogni di tutti e invita ciascuno a mettere a disposizione professionalità e capacità personali in una piena comunione dei beni materiali e spirituali.
Un sacro monumento che vuole essere un piccolo segno di riconoscenza per l’amatissimo don Michelino che ha fatto tantissimo per tutti, un dovere morale verso colui che ha dato se stesso per il bene di Cutro.
Al pomeriggio alle h, 16,30, sempre nella chiesa parrocchiale, e ancora alla presenza di Sua Eccellenza Mons. Domenico Graziani, arcivescovo di Crotone – Santa Severina, è seguito l’incontro commemorativo con sacerdoti, cittadini e fedeli che hanno conosciuto, frequentato e apprezzato don Michele e che lo hanno ricordato con testimonianze, ricordi, aneddoti, filmati e immagini del tempo. Erano presenti, inoltre, ancora Mons. Aiello, don Franco Lonetti già parroco di Santa Rita di Crotone, il prof. Titta Scalise archivista diocesano. Dopo i saluti di rito del padrone di casa don Giovanni Barbara e del sindaco Salvatore Divuono, si sono alternati i giovani di allora, oggi organizzatori dell’evento, che hanno dato lettura, non senza emozione evidente, dei loro contributi di affetto, vicinanza e riconoscenza all’amato don Michelino.
Qui di seguito: “Siamo cresciuti con Lui e grazie a Lui negli anni più belli ma più difficili e più infuocati della nostra giovinezza. È stato il nostro assistente in Azione Cattolica prima e nel Gruppo comunitario ecclesiale detto “della Saletta” poi. Erano gli anni del post ’68. Don Michele era con noi, con ognuno di noi. Ciascuno era importante per Lui. Era la luce e ci dava luce illuminando le nostre ombre. Ogni essere umano era per Lui un “soggetto” da rispettare, da ascoltare, da capire, da aiutare. Voleva essere capito e perciò il suo linguaggio diventava semplice con gli umili e sapiente con gli eruditi”. (Mimmo Stirparo)
“ La nostra frequenza alla saletta era giornaliera,con incontri settimanali di formazione,tenuti da don Michele, il quale anche se non restava sempre con noi era molto discreto ma noi avvertivamo sempre la sua presenza,non parlava molto ma il suo modo di vivere era per noi un esempio,ovviamente queste cose le abbiamo capite crescendo, perchè forse li per li eravamo più intenti al gioco.” (Luigi Gareri)
“Per me, come per molti coetanei, fu un punto fermo della mia crescita, secondo, forse, solo ai miei genitori. D’altronde, come poteva essere altrimenti? Noi tutti trascorrevamo con lui gran parte delle giornate in quella stanza sotto la canonica, nota a tutti come “saletta”. Sono sicuro che quel luogo giocò un ruolo fondamentale nella crescita morale e civile non solo mia, ma anche della maggior parte dei giovani di quel periodo” (Raffaele Caccia)
“Sono vissuto con lui, giacchè mio padre era sacrestano, da quando arrivò fino alla sua decisione di andare via…Mio padre ha servito la chiesa come sacrestano per oltre 60 anni condividendo con i parroci che si sono alternati, don Titta Sestito, don Michele, don Ciccio, gioie e delusioni. All’inizio fu un rapporto di odio amore, anche perché mio padre era legato al primo parroco, ma poi culminò nell’amore e protezione di un padre verso un figlio. Si, perché per mio padre era come un figlio, e per me come un padre e un fratello maggiore. E fu per lui che io sono diventato un professionista, ma anche per aver frequentato la saletta: casa di vita, di preghiera e di innamoramenti, ma anche di divertimento, di cultura e di musica” ( Francesco Mesoraca)
“È stata una figura molto importante per noi e per me, non solo per quegli anni ma anche durante tutta la mia vita, nei momenti difficilissimi della mia vita, perché nasconderlo. Ho pensato a lui, sempre mi è stato vicino, in mia compagnia, come presenza di Cristo, col sorriso, la dolcezza, l’umiltà. Tante le opere di misericordia concretamente fatte da questo prete.” (Salvatore Borrelli)
“Appena arrivato alla chiesa di san Rocco, i primi giorni, un ubriaco, solo perché quel prete ascoltava musica, fece partire un colpo di pistola mirando alla sua finestra. Questo piemontese che in vita sua non aveva mai visto una pistola, cresciuto in seminario tra libri e preghiere, non si è fatto intimorire, è rimasto a Cutro, non si è arreso, è rimasto fedele alla sua missione. Anche dopo, nella chiesa della SS Annunziata, spesso ha dovuto superare circostanze un po’ delicate se non pericolose ma con Dio nel cuore non ha mai avuto paura.” ( Salvatore Salerno)
“Un prete lungimirante. fui fermato da don Michelino per essere invitato ad un incontro, che lui avrebbe organizzato, con i giovani dell’Azione Cattolica. Rimasi molto perplesso, che ci incastravo io con l’Azione Cattolica? Per fugare la mia evidente diffidenza, mi rassicurò sul motivo del suo invito: nessuna volontà di condizionare le mie scelte, anzi, mi disse: “se ne sei convinto veramente continua a portare avanti le tue idee sempre con forza e coerenza”! Il suo vero obiettivo, lo capii meglio negli anni seguenti, era quello di radicare in noi giovani la necessità, direi proprio il bisogno, del confronto” ( Francesco Sulla, allora giovane fervente attivista comunista e non credente)
“Don Michele con il suo volto riusciva a trasmettermi pace gioia e speranza, ogni volta che lo incontravo, tutto ciò, però, è durato poco, è stato trasferito, ma nulla ha cancellato quei momenti, anche perché in quel periodo ho avuto la gioia di incontrare nella mia vita un ragazzo bello e meraviglioso che nel tempo è diventato prima il mio fidanzato e dopo mio marito, Ciccio, lui è stato capace di farmi vivere tramite i suoi racconti tutti i momenti che ha trascorso insieme a don Michele. A nome di Ciccio ringrazio anche io Don Michele perché ho avuto al mio fianco un ragazzo prima ed un uomo dopo, meraviglioso, rispettoso e ricco di amore da dare.” (Annetta Migale Brugnano)
“Sempre don Michele che vola sul mio pensiero quando, ripercorrendo la mia storia personale, inciampo in quella parte di ricordi che mai nessuno vorrebbe avere, perché parlano di tristezza e solitudine, di un lutto, di una grande perdita, quella del mio caro fratello Salvatore…Il cuore di don Michele fu un cuore di grande padre.” (Pino Lepiane)
Apprezzato anche, e non poteva essere diversamente, il contributo offerto dal prof. Titta Scalise, già parroco di Botricello in quegli anni, che simpaticamente ha ricordato vari aneddoti e dell’ottimo rapporto tra i due sacerdoti.
Altri contributi di affetto sono stati inviati da ogni parte d’Italia e sono contenuti in un dvd distribuito all’assemblea dei fedeli. Non poteva mancare il doveroso tributo a Suor Franca in rappresentanza delle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino operanti in Cutro a fianco di don Michele nel servizio liturgico e nelle attività di laboratorio artigiano femminile a beneficio di tutta la comunità.
Il momento clou della manifestazione pomeridiana è stato sicuramente la commovente e coinvolgente testimonianza inviata dalla nipote Paola Bertola e letta da Salvatore Borrelli. Don Michele era, scrive la nipote, “ il figlio più giovane di un famiglia numerosa. Infanzia non facile vissuta dignitosamente in povertà in un periodo non facile tra le due guerre mondiali.
Allora si viveva con poco: un paio di mucche nella stalla, qualche gallina, un pezzo di orto, in autunno si raccoglievano le castagne che con polenta e latte costituivano in inverno i pasti principali. Vivevano tutti in una camera e d’estate qualcuno dormiva sul fienile. È molto giovane quando andando al pascolo cade malamente e si frattura un braccio. Questo braccio non guarisce mai, i dottori propongono di tagliarglielo ma il nonno si oppone . Allora un uomo senza un braccio, in campagna, non serviva molto. È allora che il suo futuro è deciso: rimane “il seminario”. Lui studia, è bravo, si impegna. E anche il suo braccio guarisce ma sempre limitato nei suoi movimenti.
Verso il 1950 viene ordinato sacerdote, mia nonna ne è e ne sarà sempre molto orgogliosa. Vorrebbe fare il missionario ma mia nonna è decisamente contraria. Allora accetta di andare in missione a Cutro. Nonostante la lontananza lui era sempre, nelle parole di mia nonna, di mio papà (suo fratello maggiore) con lettere…È sempre tornato per le ricorrenze importanti. […] Sapeva trasmettere serenità e gioia. Ci ha insegnato a accettare tutto quello che la vita ha da offrirci, a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
Ha accolto con serenità la malattia che lo ha portato a avvicinarsi a “casa” dapprima in Liguria a San Remo e poi a ritirarsi presso la casa del Clero al santuario di Vicoforte dove poi è mancato l’8 ottobre del 1991”.
Assieme a questo momento, intensa di tanto pathos, commozione e partecipazione, a sorpresa, di un video dove appare il prete di Frabosa che difende a spada tratta la gente di Cutro denigrata dalla stampa nazionale e accusata, ingiustamente, di presunte vendite di bambini: si tratta del video della sezione TecaRai che riporta il contenuto della trasmissione “AZ un fatto come e perché” del 1 marzo 1970 in cui si dibatte il tema delle adozioni. Un video che il sindaco Divuono ha opportunamente commentato rendendosi disponibile ad avviare l’iter per la concessione della cittadinanza onoraria e dell’intitolazione della “saletta” con targa bronzea.
Mons. Graziani ha tratto le conclusioni dicendosi soddisfatto della bella, ricca ed edificante Giornata ed ha esortato i “figli di don Michele” a continuare questo lavoro raccogliendo altro materiale testimoniale per aprire un fascicolo da destinare al processo di beatificazione.
Infine, ma non assolutamente secondario, da non sottacere la feconda, totale e numerosa collaborazione al felice evento, a titolo del tutto gratuito, di tecnici, di ingegneri, architetti, tipografi, muratori, imprenditori, fotografi, tecnici del suono e altri che hanno fatto evidenziare, come ci dice Raffaele Caccia “la comunione che Don Michele, da lassù, è stato capace di ricreare a circa trent’anni dalla sua morte.” Ci piace concludere questa nota con le parole di Caccia che dice: “è stato come tornare indietro nel tempo, quando neanche maggiorenni, eravamo presi da un entusiasmo incredibile ogni volta che si doveva allestire o organizzare qualche manifestazione. È stato bello sentire la vicinanza di tutti e, soprattutto, sentirsi in comunione con tutti”.