È da più mesi ormai che è iniziata la vecchia giostra, ma in questi giorni si è entrati nel vivo del dibattito politico – elettorale in vista della competizione per le Politiche del prossimo 4 marzo e per le Regionali, non meno importanti, di Lombardia e Lazio. Indubbiamente è un fatto democraticamente consolidato quello di discutere, riunirsi in sedi collegiali che non sono più le sezioni di partito ma i salotti di emittenti televisive, mandarsi sms da decodificare, tentare alleanze più o meno sincere e durature ed incrociarsi veti o ammiccamenti per poter “candidare” gli uomini cosiddetti giusti e “sicuri”, ma sicuramente nessuno degli addetti ai lavori conosce il significato del termine “candidato”.
Questo deriva dalle competizioni elettorali dell’antica Roma dove chi aspirava ad occupare cariche istituzionali doveva risultare palesemente “candidato”, cioè “pulito” e per questo “candidato” a occupare non una poltrona gonfia di potenzialità di arricchimento personale ma una carica per il bene della “res pubblica”, cioè di tutti.
Questo lo sanno i candidati prossimi? Non mi dilungo in altre considerazioni ma voglio solo dire che purtroppo la storia negativa si ripete sempre continuamente, dall’Unità d’Italia ad oggi, dai regimi monarchici ai repubblicani, dalla prima repubblica a quella di oggi che non so come definirla.
Sempre le stesse chiacchiere, le stesse beghe, le stesse schermaglie, le stesse pseudo-avversioni, gli stessi comitati di affari o di “merenda”. Tutto alle spalle della gente comune. Troppo si trama: in pizzeria, nei ristoranti, agli angoli delle strade, nei salotti e nelle ville al mare o nelle baite di montagna. Troppo si trama, mentre i comuni mortali soffrono la disoccupazione, la disperazione per i figli senza futuro che continuano a prendere la via del nord e dei paesi europei, la mancanza di tetto, la precarietà del salario stante l’Euro, la mafiosità e i cravattari.
La Calabria, in particolare, soffre da molto tempo, soffre perché le è stata cancellata anche l’identità industriale e non ci si preoccupa neanche di darne una nuova che potrebbe essere quella turistica e culturale. La storia si ripete come alla fine del secolo del millennio passato quando il mio conterraneo Mastro Bruno Pelaggi rivolgendosi a Umberto I gridava: “Picchì ha’ mu li nascundi/ li gridi calabrisi?/ Non pagamu li spisi/ guali a tutti?/ Ma tu ti ndi strafutti/ li deputati cchiui:/ duvi ‘ncappamma nui povera genti./ Non spirari cchiù nenti/ Calabria sbinturata:/…e sulu si ci chiamata/ alli suoliti passi/ mu paghi mpuosti, tassi/ e nenti cchiui!…Ministri e deputati/ chi cazzu mi priedicati/ pro Calabria/…già non aviti scuornu/ sempri mu prumintiti/ e mai nenti faciti/ mu campamu”.
Non credo abbiano bisogno di commento questi vecchi e attualissimi versi. Faccio mia l’accorata denuncia del poeta di Serra San Bruno con l’auspicio che “comunque vada, sia un successo” per l’Italia, per la Calabria.
Quale commento più azzeccato se non il seguente, riprendendolo dalla poesia di Bruno Pelaggi?
Eccolo:
“…già non aviti scuornu/ sempri mu prumintiti/ e mai nenti faciti/ mu campamu”.