Quest’anno vorrei che le feste natalizie le trascorressimo tutti insieme, non so perché, da un po’ di tempo avverto dentro che questo è l’ultimo Natale della mia vita, sentii dire dalla nonna a mia mamma un tardo pomeriggio del mese di novembre. Scrivi a Peppino e a Vincenzo una bella lettera esortandoli a venire giù in paese a trascorrere il Natale con la loro mamma, disse ancora ella, certa di essere ormai arrivata al traguardo della sua vita. Mamma la tranquillizzò dicendole che avrebbe scritto subito. Io stavo poco distante dalla nonna e la guardavo con un velo di tristezza mentre ella teneva la corona in mano senza interrompere il suo quotidiano rosario. Mai come quella volta la nonna desiderava avere i suoi figli vicini i quali da anni vivevano con le rispettive famiglie nella lontana Lombardia. Questo forte desiderio della nonna mi fece riflettere a lungo perché in effetti gli anni pesavano sulle sue spalle e da mesi trascorreva più giorni a letto che in piedi.
Mangiava poco e adagio, come se il gusto dei cibi e il sapore dell’acqua avessero perso le loro sostanze. I giorni trascorrevano e le feste natalizie si avvicinavano, mentre la nonna la vedevo peggiorare ora dopo ora. La fronte, le guance, le mani erano completamente crespate ed io la guardavo addolorato mentre ella continuava a stare quasi curva e parlava appena. Quell’anno gli zii scesero tutti e due e la nonna era contenta, le luccicavano gli occhi per la gioia. La casa si riempì, io ero contento di avere zii e cugini vicini e mi sentivo particolarmente felice per essere in tanti.
Ricordavo e ricordo ancora oggi quando la nonna mi raccontava del Natale dei suoi tempi quando si viveva nella semplicità e nella religiosità dell’evento tanto atteso. Il Natale era diverso ma sicuramente più sentito e più coinvolgente. Si faceva economia per tutto l’anno ma la vigilia di Natale tutti erano più espansivi e ogni famiglia preparava una cena abbondante e varia: si incominciava, per tradizione, col baccalà dall’odore invitante accompagnato con i broccoletti e poi mi elencava una per una le pietanze al punto di sentirmi l’acquolina in bocca e … Si mangiava, si beveva, si rideva, si scherzava, continuava a dire, e noi ragazze avremmo voluto che quella serata piena di amore e di allegria non avesse mai fine. Ognuno accendeva lumi, lumiere e piccole lucerne per far luce e onorare la nascita di Gesù Bambino. Come eravamo felici, diceva orgogliosa la nonna, di giocare, di stare insieme ai parenti e sentire raccontare storielle divertenti fino a notte fonda! La zampogna, uhi! Suonava per quindici giorni di seguito e la notte di Natale non smetteva un solo istante.
Per devozione si accendeva un grande fuoco davanti alla chiesa ed ognuno si avvicinava per riscaldarsi e ricordo che le braci erano così tante che duravano fino al giorno dopo. Quando la nonna mi parlava del Natale dei suoi tempi, mi pareva di averlo vissuto anch’io tanto mi addentravo nei suoi ricordi. Erano tempi difficili, neri più della pece, figlio caro, ella mi diceva mentre io ascoltavo attentamente tutto ciò che mi raccontava. Quella sera di Natale, mentre eravamo in compagnia di zii e cugini ricordavo ciò che la nonna più volte mi aveva raccontato delle tradizioni legate alla festa e mi alzai senza che nessuno si accorgesse e mi avvicinai al capezzale per assicurarmi che ella dormisse, considerato che da molto tempo cenava presto e poi andava a letto.
Ritornai di nuovo a sedermi e ripresi a mangiare. Quante volte la nonna mi diceva pure che le feste natalizie erano le più sentite dell’anno e che quei ricordi restavano in mente per tutta la vita. La notte di Natale è la più significativa perché la Madonna ha dato alla luce Gesù Bambino, continuava a dire ella rivolgendo gli occhi al cielo come segno di amore e di perdono.
Mentre in testa mi pullulavano tutti questi ricordi, sentimmo suonare le campane della chiesa. Tra poco avrà inizio la Santa Messa, disse mia madre alle zie, e si apprestarono a prepararsi e appena le campane suonarono le seconda volte ci avviammo lasciando a casa papà e gli zii che giocavano a carte.
Quella notte l’aria era molto fredda ed era accompagnata da un venticello talmente gelido che faceva intirizzire. Guardai il cielo che formicolava di stelle e la luna al centro di esse mi
sembrava più luminosa del solito come se stesse illuminando la grotta di Betlemme per la nascita del piccolo Re. Arrivati in piazza, molte persone erano intorno al fuoco, si riscaldavano e chiacchieravano animatamente. Anch’io assieme ai miei cugini mi avvicinai a loro e vedemmo alcuni di essi che alimentavano con grossi tronchi e rami il grande falò al punto che le vampe si innalzavano assieme a migliaia di faville che lo rendevano spettacolare. Giunti in chiesa, ci avvicinammo al presepe dove diecine di anime erano assiepate davanti ad esso per ammirarlo con devozione. Poco distante un gruppo di religiosi cantavano in coro “Tu scendi dalle stelle” e in quel momento mi pareva di vedere tra di loro anche la nonna, considerato che ella ai suoi tempi era giudicata il numero uno del coro, ma non c’era, ormai era molto anziana e priva di ogni forza.
All’improvviso nella mia mente i suoi ricordi erano ancora più vivi e … Quel luogo sacro pian piano si riempì di anime di ogni età. Com’era bello trovarsi nella casa del Signore e abbandonarsi, anche se per poco, nella fantasia e nell’immaginazione! Pensavo pure a quanto la Vergine Maria e San Giuseppe avessero sofferto per la nascita del loro pargoletto ed ancora di più per tenerlo in salvo, per proteggerlo, considerato che i soldati di Erode lo cercavano in quanto si pensava che il Messia si sarebbe impossessato del regno. Ricordai pure quando la nonna mi diceva con tristezza che la Madonna era stata costretta a correre con paura e affanno per le vaste campagne per sfuggire a quei maledetti soldati, e come ella lo raccontava mi pareva di vedere tutta la scena e mi chiedevo come la nonna conoscesse così minuziosamente la storia di Gesù Bambino, considerato che ella sapeva appena, appena leggere e scrivere. Una cosa era certa: lei aveva la capacità di raccontare le storielle come se in quel momento le leggesse ed io a quell’età mi incantavo ad ascoltarla. Distratto da quei ricordi, mi resi conto che la lunga messa volgeva alla fine e tra canti e preghiere lasciammo quel posto. Rientrammo a casa infreddoliti ma felici per la nascita del Santo Bambino e per prima cosa mi avvicinai al capezzale della nonna e mi assicurai che ella stesse dormendo. La mattina seguente appena mi svegliai andai in camera sua a farle gli auguri e a raccontarle ogni cosa della notte precedente, ella ascoltava contenta e lo notavo dalla sua espressione, dal suo debole sorriso. Mai come quella volta i suoi occhi erano posati su di me e nello stesso momento annuiva facendo cenno con la testa, come per condividere quanto le raccontavo.
La nonna continuava ancora a guardarmi come se mi volesse dire chissà quante cose … allungò poi la mano scarna e prese la mia stringendomela con le sue deboli forze, mentre i suoi occhi quasi coperti dalle palpebre si riempivano di lacrime. Le sorrisi e la accarezzai ed ella continuava a tenermi stretta, stretta la mano come segno di amore ed eterno affetto.
Passarono solo poche settimane e poi per sempre ella ci lasciò. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, ho sempre vivi nella mente i suoi racconti e spesso mi fanno gradita compagnia.