Il Parco Nazionale della Sila lo scorso sabato ha presentato al Centro Visita “Cupone”, congiuntamente con la ”Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio” per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone e con il Comune di Spezzano della Sila, i risultati degli scavi effettuati sulla riva meridionale del lago Cecita, in località Campo San Lorenzo.
A poche centinaia di metri l’uno dall’altro sono stati effettuati ritrovamenti di assoluta rilevanza, ognuno dei quali avrebbe meritato già da solo il centro dell’attenzione. Dai resti di un Elephas antiquus a quelli di una spada di tipo scramasax, da un tempio magno-greco ed armi dedicate alla divinità femminile del santuario fino addirittura ai resti di una strada romana.
Come ha sintetizzato il Presidente della Regione Calabria, l’on. Mario Oliverio, «si tratta di ritrovamenti eccezionali per il valore scientifico, ma straordinari per il nostro territorio. Questa è un’area che ‘gronda’ storia. Questa scoperta rafforza ulteriormente la candidatura del Parco Nazionale della Sila a “Sito Patrimonio Mondiale dell’Umanità” UNESCO. Anzi a questo proposito tengo a ringraziare il Commissario Straordinario, la professoressa Sonia Ferrari, e la Direzione del Parco per l’ottimo lavoro svolto».
Il Maggiore Carmine Gesualdo, Comandante del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale della Calabria, ed il Tenente Colonnello Gaetano Gorpia, Comandante dell’UTCB (Ufficio Territoriale Carabinieri per la Biodiversità) di Cosenza hanno tenuto a ricordare la doppia anima dei Carabinieri: tutela dei beni culturali da un lato, sin dal 1969, e ora anche tutela dei beni ambientali.
Ha quindi proseguito il Commissario Ferrari, annunciando come «il Parco si ripresenterà come sito UNESCO il prossimo 6 gennaio. Che il Cecita esistesse come già migliaia di anni prima che venisse realizzato un bacino artificiale già lo sapevamo, ma nonostante tutto questo specchio d’acqua ci continua a regalare sorprese, e questo non fa che rafforzare il processo di candidatura».
Vista la ricchezza archeologica dell’area e l’importanza dei resti dell’Elephas antiquus «il Parco, il Comune di Spezzano e la Soprintendenza hanno ora stilato un protocollo d’intesa per la conservazione dei suoi resti» – ha ricordato la dott.ssa Giovanna Verbicaro della Soprintendenza, illustrando anche «il ritrovamento di un antico tempio magno-greco, forse collegabile alla colonia di Kroton, dedicato ad una divinità femminile alla quale venivano dedicate delle armi abbandonate in situ da coloro che partivano per il servizio militare».
Il suddetto protocollo prevede, tra le altre cose, l’impegno a svolgere le attività istituzionali connesse allo scavo, rimozione e conservazione dell’Elephas antiquus; il supporto logistico agli operatori impegnati nelle operazioni di recupero e primo consolidamento dei resti ossei; la messa a disposizione di eventuali studi già realizzati; la partecipazione all’organizzazione di convegni, seminari, iniziative ed in generale alla divulgazione dei risultati ottenuti.
Il Soprintendente, il dott. Mario Pagano ha poi rimarcato come «la straordinaria scoperta dell’elefante non ci deve tuttavia far sottovalutare il resto dei reperti. La strada romana rinvenuta ad esempio è di un tipo come se ne vedono solo nel medio oriente e di una larghezza di ben 3,70m a fronte, come riferimento, dei 4m di una via importante come la Appia, quindi fatta in modo da consentire il passaggio affiancato di due carri. Questo ci prova ancora una volta che risorsa importante fosse la Sila per l’Impero Romano».
Ma non solo, visto che «i resti longobardi che abbiamo rinvenuto rappresentano la prima testimonianza archeologica della presenza di questo popolo sulla Sila. Dalla forma della scramasax, una antica spada, che abbiamo trovato possiamo datare il sito al VI-VII secolo collegandolo così, probabilmente, ad un episodio storico ben preciso. Infatti visto che molte delle armi rinvenute sono state abbandonate apparentemente in tutta fretta, possiamo far risalire il tutto all’improvviso sbarco dell’esercito imperiale di Costante, nell’agosto del 663, a Taranto. Probabilmente mentre l’Imperatore bizantino si reca ad assediare Benevento i Longobardi che risiedevano sulla Sila restano vittima di una manovra a tenaglia da sud e si trovano costretti a scappare».
Ma il protagonista della conferenza è stato senza dubbio l’elefante i cui resti, una volta restaurati, «torneranno qui in Sila», come ha tenuto a sottolineare il Sindaco di Spezzano, il dott. Salvatore Monaco. Come ha raccontato la dott.ssa Antonella Minello, dell’Università del Molise, «inizialmente la tentazione era di attribuire i resti a uno degli elefanti di Annibale, ma la dimensione delle zanne, quasi il doppio di quella degli elefanti ‘storici’, ci ha fatto poi propendere per l’attribuzione dei resti all’Elephas antiquus, che ha popolato l’Europa da circa 800,000 fino a 40,000 anni fa. Bisognerà attendere naturalmente lo studio morfologico e le analisi di laboratorio prima di poter confermare con assoluta certezza la specie precisa di elefante preistorico».
I prossimi passi saranno:
– completare il recupero dei resti dell’elefante, alcuni dei quali ancora sepolti nei sedimenti
– effettuare ricognizioni sia sul terreno che a mezzo di droni per individuare eventuali altre aree
– completare l’analisi dei reperti
«I tempi sono stretti, visto che il sito è ubicato in una zona normalmente sommersa fino ad una profondità di 5 metri,» – ha ricordato il Direttore f.f. del Parco, il dott. Giuseppe Luzzi – «ma grazie alla collaborazione di tutte le istituzioni e dei soggetti coinvolti sono certo che riusciremo nell’impresa. Non per niente il nostro è un Parco che ha sempre fatto anche del turismo culturale e storico un suo elemento distintivo forte».