La lunga marcia silenziosa sul lungomare, l’inaugurazione di una panchina rossa dedicata a Battistina Russo, la partecipazione attiva di bambini e ragazzi, il convegno per approfondire la problematica della violenza con degli esperti. Il 25 novembre a Cariati è stata una giornata piena di avvenimenti, incentrati tutti sulla celebrazione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Due i messaggi più forti che sono emersi: perché la situazione cambi è fondamentale puntare sull’educazione delle nuove generazioni e incentivare la solidarietà nelle piccole e grandi comunità.
«Le donne vittima di violenza spesso si sentono sole nel loro dramma – ha detto la sindaca Filomena Greco – . Per loro sarebbe tutto diverso se avessero intorno una rete di sostegno ancora più forte e consolidata. Le leggi da sole non bastano. Per questo, faccio un appello a tutti: siate più solidali. Anche se la problematica sembra non interessarvi in maniera diretta, in realtà tocca gli ambiti e la cultura della società in cui vivete. E rendere la società, ma anche le piccole comunità, migliori significa restituire ai nostri figli condizioni di maggiore civiltà in futuro. E magari anche salvare qualche vita».
IL FLASH MOB. La giornata è iniziata con una marcia silenziosa sul lungomare. Alla quale hanno partecipato anche gli studenti delle scuole di Cariati. Al momento del raduno, presso la villetta Padre Pio, sono stati distribuiti palloncini rossi, simbolo delle molte vittime del femminicidio. Il corteo è arrivato fino alla villetta Lavoratori del mare, dove i ragazzi hanno letto alcuni pensieri sul tema e sono stati liberati i palloncini verso il cielo.
Una giornata fortemente voluta da tutta l’amministrazione comunale, all’organizzazione della quale ha dato un convinto contributo l’assessore alla Governo delle politiche del territorio Maria Elena Ciccopiedi, che ha presenziato il momento dell’inaugurazione della panchina rossa dedicata a una cittadina di origini cariatesi, Battistina Russo, uccisa lo scorso 28 marzo. «Vorrei che questa giornata – ha detto l’Assessore – servisse soprattutto a una cosa: a essere testimonianza del fatto che le donne di Cariati non devono sentirsi sole.
La nostra marcia silenziosa deve rappresentare il nostro no all’indifferenza. Il messaggio che l’amministrazione vuole dare è proprio questo: chiunque viva una qualsiasi situazione di violenza, psicologica, fisica o anche solo di genere, può rivolgersi a noi. Può bussare alle nostre porte, perché troverà sostegno sia istituzionale che umano. Purtroppo, anche qui a Cariati esistono realtà drammatiche, e difficilmente le donne sono disposte a denunciare. Ma vorrei che sapessero che l’amministrazione, composta da una consistente quota rosa, è con loro. Siamo pronte a stare dalla loro parte e a batterci, se serve, al loro fianco».
IL CONVEGNO. Nel pomeriggio, poi, si è tenuto un incontro dal titolo “Il silenzio uccide due volte”, moderato da Patrizia Funaro, al quale hanno partecipato esperti che quotidianamente danno il proprio contributo professionale alla lotta contro la violenza sulle donne. Oltre alla sindaca Filomena Greco, che ha introdotto i lavori e portato i saluti istituzionali, sono intervenuti il magistrato e coordinatrice dello Sportello Antiviolenza del Tribunale di Castrovillari Letizia Benigno, il giudice della Sezione Penale del Tribunale di Crotone Romina Rizzo, la criminologa della Fondazione Roberta Lanzino Antonella Larobina e il commissario capo dirigente del commissariato di Rossano Giuseppe Massaro.
Ognuno di loro ha posto l’accento su questioni decisive nella lotta alla violenza contro le donne. Ma tutti sono stati d’accordo su un punto: serve maggiore interesse sulla questione da parte dell’intera società, perché nessuno può pensare che la problematica non lo riguardi. In particolare, il magistrato Letizia Benigno ha raccontato di come nel suo gruppo di lavoro si stia cercando di abbandonare l’idea che il magistrato sia quella figura che si limita a reprimere e imporre un provvedimento: «Abbiamo capito che è importante dialogare con ogni soggetto che si interessi del problema, dalle istituzioni alle associazioni. Perché si può fare moltissimo lavorando sulla prevenzione e sulla tutela. Il problema – ha aggiunto Benigno – è soprattutto culturale. Le attività principali, quindi, devono essere svolte nelle scuole».
Che sia necessario agire sulla prevenzione ne è convinta anche il giudice Romina Rizzo, che al convegno ha detto: «Ad oggi, esistono una serie di forme di tutela e di sostegno alla persona offesa. Esistono le leggi che puniscono i colpevoli. Ma quando questi casi arrivano nelle aule di giustizia, bisogna ammettere che quello che andava fatto prima non è stato fatto o non è stato fatto abbastanza bene. Io credo – ha detto ancora – che bisogna insistere nel convincere le donne a denunciare. Nessuna vittima di violenza deve sentirsi in colpa o vergognarsi. Anzi. E vorrei dare anche un dato preoccupante: sono in crescita le violenze all’interno di giovani coppie. Per cui, bisogna incentivare un cambiamento culturale, che parta proprio dalle nuove generazioni».
Ma qual è lo stato d’animo di chi arriva a denunciare, quali le convinzioni e le paure? A parlarne è stato il commissario Giuseppe Massaro, che ha rivelato: «Diverse donne che arrivano a denunciare, nel corso dei colloqui, dicono una cosa che dovrebbe farci pensare. Si chiedono come mai i vicini di casa non abbiano mai fatto nulla, non abbiano denunciato quando sentivano le urla o comunque capivano che qualcosa non andava bene.
È un rammarico forte, quello delle donne, che spesso non denunciano subito perché temono ritorsioni e faticano a fare il primo passo. A volte anche per tutelare i propri figli. Per questo è importante che nessuno di noi sia indifferente. Se abbiamo il sentore che una donna ha bisogno di aiuto, dobbiamo denunciare».
Quello che aiuterebbe molto le donne a fare questo famigerato “primo passo” potrebbe essere la consapevolezza: di non essere sole, di avere intorno una rete, di poter contare sul sostegno di realtà come la Fondazione Roberta Lanzino. «Siamo aperti all’ascolto – ha detto la criminologa Antonella Larobino – .
La Fondazione è nata, dopo la morte di Roberta, con un duplice intento: fare prevenzione e dare sostegno. Da noi le donne trovano ospitalità – abbiamo 50 posti nella struttura – , supporto legale, oltre che psicologico e morale, e possono fare un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Le aiutiamo anche a trovare lavoro e i loro figli vengono seguiti con attività di doposcuola. A volte, si rivolgono a noi anche solo per parlare di quello che succede. Un primo passo importante per la messa a fuoco del problema e la presa di consapevolezza. Ma tra i vari progetti che abbiamo avviato – ha concluso – , credo che uno sia di enorme rilevanza, perché ha un obiettivo: avere come interlocutori gli uomini. In fondo, è da loro che partono le violenze ed è da un loro cambiamento che potrebbero arrestarsi».
La serata si è conclusa con le performance dei ragazzi delle scuole di Cariati. Che, emozionati e molto ben preparati, hanno testimoniato come un tema così serio sia anche nelle loro corde. Pure i più giovani hanno qualcosa da dire in merito. E a volte, cose più profonde e acute di quanto gli adulti si aspettino. I disegni, le letture scelte, l’accompagnamento musicale, ci dicono una cosa sola: c’è speranza per il futuro.
«Mi auguro – ha detto infine la prima cittadina Filomena Greco – che questi eventi siano sempre più partecipati, che soprattutto i docenti, gli educatori e i volontari delle associazioni siano più presenti visto quanto è determinante ed importante il loro impegno verso i giovani e le loro problematiche. E che i cittadini siano più vicini tra di loro, perché una comunità può fare molto. Può fare una buona parte di quello che è necessario fare per salvare le nostre donne e mettere fine alle violenze. A ogni tipo di violenza».