In tempo di Quaresima non si può non ricordare un religioso cappuccino, tal fra’ Antonio da Olivadi, detto il “piantatore di croci”
Al secolo Giuseppe Antonio Pontieri, è nato ad Olivadi, piccolo centro delle Preserre catanzaresi, il 3 gennaio 1653, da Guido ed Elisabetta Teti. La notte della sua nascita, secondo testimonianze arrivate fin qui, sulla sua casa è apparsa una sfavillante luce che molti interpretarono come segno di Dio e scrissero: “avendolo Iddio eletto ad essere col tempo lume dei popoli e fiaccola di ardente zelo”. Già a dieci anni si sentì “chiamato” e dopo aver superato la contrarietà del padre, a tredici entrò nella Comunità francescana dei Cappuccini della vicina Chiaravalle Centrale e da qui mandato a far noviziato nel convento di Stilo dove gli fu affidata la cura del confratello fra’ Bernardo da Gerace ammalato immobile da ben un quarto di secolo e del quale “baciava spesso le pezze inzuppate di marcia”. Finalmente fu ordinato sacerdote nel 1677 dedicandosi da subito alla predicazione della Passione di Cristo in ogni angolo della Calabria e dell’Italia meridionale e dovunque portò la Croce a spalle per i sentieri impervi delle terre del tempo e vi “piantava o una o cinque o sette Croci ben grandi e quello non solo per lasciar a popoli un memoriale della Passione di Cristo ma pure per adempiere il Divino commando espressogli in una locuzione”.
Negli anni successivi fra’ Antonio, divenne anche Padre Provinciale dei Cappuccini di Cosenza e Padre guardiano del convento di Nicastro e qui commissionò la statua di sant’Antonio che i Lametini di oggi venerano con particolare devozione nel mese di giugno. Si trovava nel convento di Bagnara quando il superiore lo inviò a predicare la Quaresima a San Costantino nei pressi di Vibo. Qui durante la sua prima predica, dopo aver parlato per oltre mezz’ora e non avendo altro da aggiungere, si rivolse al Crocifisso chiedendogli aiuto per il prosieguo del pergamo, al che il Cristo gli avrebbe risposto di predicare la sua Passione così come lui l’aveva meditata. Beh, la predica riuscì così bene che Mons. Pallavicino vescovo di Mileto, chiese subito a Roma per l’umile Antonio l’autorizzazione a che potesse fare il missionario.
La sua vita è stata tutta un susseguirsi di instancabile predicazione ergendo dappertutto calvari, chiese, altari, e Croci in ogni dove nell’Italia meridionale e fondato Confraternite. Una di queste è quella dell’Addolorata fondata a Serra San Bruno nel 1694 giacchè qui era stato invitato dal priore della Certosa per una serie di conferenze ai novizi. E tra le tantissime tappe della sua peregrinatio passionis si annovera anche Cutro dove in tempo di carestia “alimentò con mirabile industria una onesta famiglia decaduta”; inoltre anche Isola Capo Rizzuto lo ebbe ospite e qui mentre si lavorava per la costruzione della cappella dedicata alla Madonna Greca, per dissetare quella gente “fè scaturir vena d’acqua dolcissima dal fondo della fornace ancora fumante”. Ad un anno dalla morte del cappuccino olivadese veniva eretta a Serra San Bruno la chiesa dell’omonima congrega, oggi detta anche dei Sette Dolori, dalla bella facciata in granito grigio locale in perfetto stile del barocco maturo per la sua pianta ellittica. Dopo essersi consumato “dalle fatiche per la gloria di Dio e la salvezza dei popoli” moriva il 22 febbraio del 1720 a Squillace e tumulato nel pavimento della cappella di sant’Antonio del convento dei Cappuccini e successivamente, a seguito del disastroso terremoto del 1783, il vescovo del tempo Mons. Nicola Notaris volle portare la tomba nella cattedrale come era allora uso in quanto antica sede arcivescovile.
Nel 1995 il 10 dicembre, durante lavori di restauro della Concattedrale della città di Cassiodoro, all’interno del monumento funebre che il vescovo Notaris aveva fatto edificare per sè, è stata rinvenuta l’urna che custodisce le reliquie con su scritto “ Ossa v.blis servi Dei pris Antonimi ad Olivado”.
E accanto all’urna, un vaso di argilla contenente un piccolo cumulo di terra della primitiva tomba ed alcuni frammenti delle sue vesti. Quindi l’allora presidente della Conferenza episcopale calabra Mons. Antonio Cantisani, la sera del 23 dicembre dello stesso anno ha aperto l’urna verificando e assicurando solo la presenza dei resti mortali del Beato e nessun documento o carta. Oggi urna e vaso si venerano degnamente nella cappella del Crocifisso della chiesa squillacese.
Ad Olivadi, ancora ai giorni nostri, si può vedere su un muro della casa natia, un’artistica scultura marmorea raffigurante il Beato Antonio e qui molti auspicano la riapertura del processo di Beatificazione avviato il 31 luglio 1736 dal vescovo Nicolò Michele Abbati e poi caduto nell’oblio.
In uno dei suoi mille e più viaggi di predicazione ed evangelizzazione portò da Chiaravalle a Crotone la Croce di Capo Colonna, oggi custodita nella chiesetta-santuario del promontorio lacinio. Una croce molto singolare nella fattura, quasi asimmetrica a tavole sovrapposte che recano dipinta la Crocifissione. Non è il solito Crocifisso visto un po’ in tutte le chiese, come quello di Fra’ Umile da Petralia che siamo abituati a vedere e venerare a Cutro, e Bisignano o quello di artisti calabresi che si mostrano nelle chiese di Serra San Bruno, Soriano, Umbriatico, Nicotera, Arena o come quello dell’Immacolata di Crotone dagli occhi aperti, ed altrove. Qui siamo davanti ad una singolare Croce in legno portata a Crotone , secondo alcuni nel 1710, nel 1701 stante l’iscrizione riportata ai piedi della stessa.
Gli amministratori olivadesi avrebbero in animo di edificare una chiesa come luogo di venerazione e pellegrinaggio e soprattutto per custodire la Croce di Crotone. E sì perché questa è stata già ripetutamente richiesta alla Curia Arcivescovile crotonese ma con esito negativo da parte del suo Capitolo diocesano. E giustamente, aggiungo io, la Croce non è stata di certo una donazione quanto piuttosto un segno della presenza e della predicazione del “santo” cappuccino.
Mimmo Stirparo