A cura di Giuseppe Gironda. Come ho accennato nel racconto “Le tredici portate” sono i mesi dove ogni famiglia della ruga, aveva il suo giorno stabilito per la “festa del maiale”
Accordi concordati tra i capi famiglia.
In quel periodo,generalmente la festa iniziava il sabato (fine settimana).
Per i nostri genitori,fin dal mattino era un eccitazione e un impegno per il lavoro che
dovevano svolgere.
Per noi ragazzi,era occasione di festa,ma anche di tristezza per la morte del maiale.
La preparazione e l’uccisione aveva la sua difficoltà.
Normalmente erano animali che superavano il quintale,data che venivano alimentati dalle rispettivi famiglie.
Tant’è che solo per metterlo sul pianale,i nostri
papà avevano le loro difficoltà.
Si sentivano le gridate del maiale,ma anche le imprecazioni dei nostri genitori.
Cumpaaa..!!!
Mantenitulu fermuuuu..!!!
Ca si ni scappa u sa chi figura i merda ca ci facimuuu.!!!
Ci ni potimu ijri i stzongoli
I stzongulisi ..Aaeee. !!
Chi razza brutta !!
U sa comu appiccinu focu !!
U sa comune ci ricamanu subaaa .!!
( mio padre era nativo di Isca sullo Ionio,tra di loro era un continuo e piacevole sfottò).
Il lavoro dei nostri padri,dopo aver sudato le cosiddetti sette camicie, terminava con la rasatura del maiale.
Dopo di che si lasciava “Riposare” fino alla sera.
La sera tutte le famiglie della ruga,partecipavano alla “festa ”
cenando naturalmente a base di carne di maiale
La musica di canti popolari(tarantella) contribuiva ad allietare la serata.
Si arrivava verso mezzanotte,
dove noi ragazzi per stanchezza,
i nostri padri per alzata di gomito(vino) crollavamo mettendoci a letto.
Da quel momento cominciava il lavoro delle nostre madre, insieme alle nostre nonne e le sorelle più grandi.
Da perfetti chirurghi era tutto un lavoro “A taglio di punta di coltello” nel separare e dividere la carne a secondo di quello che dovevano fare.
La carne per le salsicce veniva tagliata a pezzettini in modo uniforme con grande maestria.
Le generazioni di quegl’anni hanno contribuito
notevolmente alla nomea della bontà e qualità dei nostri prodotti calabresi.
E dalla generazione delle nostre nonne che viene tramandata l’eccellenza di alcuni prodotti tipici come:
La sardella,la nduja, la pitta cu passuli, i crustuli,
i nostri salumi. ecc..ecc.
Vere opere d’arte,nel mondo del Gusto.
Le donne di quegli anni erano le vere colonne portanti delle famiglie.
Allora non c’erano le comodità e le apparecchiature(elettrodomestici) di oggi,
passavano dal corredo(ricami) delle proprie figlie,alle conserve di ogni genere,compreso quello del maiale.
Il lavoro,durava tutta la notte.
La mattina,tutto il lavoro svolto,era ben rappresentato sui tavoli:
Il tavolo delle salsicce, tutte attorcigliate che sembravano ghirlande colorate per le feste.
Il tavolo delle soppressate tutte esposte in fila indiana.
Il tavolo delle pancette ,capocollo,prosciutto,
tutte salate e cosparse di pepe rosso.
Per noi ragazzi vedere quello spettacolo e quel ben di Dio esposto sui tavoli.
Era un autentica e piacevole
“Sorpresa Mattutina”
Giuseppe Gironda