Sono in vacanza in questi giorni a Torre Melissa, località balneare calabra frazione di Melissa, ma non sono qui solo per godermi il mare. Sono legato a questi luoghi da un affetto profondo che mi deriva dall’essere figlio di una “melissese” che si trasferì al Nord per amore e lì visse dignitosamente fino alla morte. Il motivo per il quale scrivo è che ci stiamo avvicinando al 2 agosto e per me significa ricordare quello che è successo il 2 agosto di 36 anni fa, la strage alla stazione di Bologna con lo scoppio di una bomba fascista che fece 85 vittime.
IL RACCONTO – “2 agosto 1980, ore 10, stazione di Bologna, binario n. 3: sono appena sceso dal treno che da Torre Melissa in Calabria, paese natio della mia adorata mamma, mi ha portato a Bologna e sto aspettando la coincidenza delle 11 per Piacenza. Ero stato in vacanza a Melissa, bellissimo paese anche se dal territorio brullo e spopolato dalla povertà e dalla necessità di trovare un’occupazione lontana per poter vivere. Mi ero recato a Melissa non per il mare, che pure è bello anche se non sempre pulitissimo, ma alla ricerca delle radici di mia mamma e di ciò che potesse raccontarmi un pezzo della sua sfortunata esistenza. In quel periodo mia madre era malata, colpita da un ictus che da lì a poco l’avrebbe portata alla morte. Tutta la vita ha sofferto, ed io con lei, di un razzismo più o meno strisciante perpetrato ai danni della gente del sud, i “terroni”, ma questo è un altro capitolo. Comunque devo la mia salvezza quel 2 di agosto, all’essere parente di “terroni”, di quegli speciali emigranti che partivano con la valigia di cartone per recarsi in Germania a lavorare. Io non avevo la valigia di cartone, ma un canestro di vino e una cesta di salamini piccanti e di olio che i miei zii avevano voluto darmi e che io portavo a casa con orgoglio. Ebbene, la stanchezza per il viaggio (ero partito la sera prima alle 19) e la pesantezza di questi “bagagli” mi indussero a rimanere sul binario e a non recarmi in edicola a comprare i giornali. Quella fu la mia salvezza, poiché di lì a pochi minuti mentre ero chinato a prendere una pesca dalla famosa cesta, sentii un forte boato e immediatamente dopo vidi un fumo alto levarsi oltre il treno che era fermo sul primo binario. Sul momento rimasi interdetto e non riuscii a capire cosa fosse successo, poiché il treno sul binario impediva una visione reale dell’accaduto, ma dopo pochi secondi si iniziarono a sentire le urla delle persone, in particolare di quelle che avevano amici o parenti che si erano recati all’edicola o al bar. I vetri dei gabbiotti lungo i binari erano andati in frantumi e la gente era in preda al panico. Pochissimi minuti e si fecero sentire i rumori delle sirene delle ambulanze e dei motori degli elicotteri. Io ero come inebetito e non riuscivo a rendermi conto che quello che vedevo era tutto vero, che le lenzuola trasportate dai soccorritori volontari contenevano persone o quel che ne rimaneva. Appena riuscii a realizzare che qualcosa di tremendo era successo, telefonai a casa per tranquillizzare i miei famigliari.
Dissi una bugia alla signora che assisteva mia mamma e cioè che era successo un piccolo incidente e che sarei arrivato tardi, appena possibile. Cercai di nascondere la gravità del fatto per non preoccupare mia madre e la mia famiglia, ma ormai la televisione aveva trasmesso le prime immagini con le notizie sulle decine di morti. Seppi poi che a casa ci fu una ridda di ipotesi e che pensavano che quella non fosse la mia voce e che dovevo essere rimasto almeno ferito. Nel frattempo io mi aggiravo stordito dentro la stazione, e ricordo che nonostante i morti, i feriti. la distruzione e la disperazione, la società civile di Bologna tenne. Gli sforzi e l’impegno delle forze di pronto soccorso uniti a quelli dei volontari, semplici cittadini, ferrovieri, taxisti ecc…, riuscirono ad impedire che la situazione degenerasse. Dopo qualche ora i primi treni ricominciarono a partire. Allora non ci feci caso, ma oggi questo mi sembra straordinario. Riuscii anch’io a ripartire, ma il treno si fermò appena fuori dalla stazione di Bologna e subito cominciarono le voci: “C’è una bomba sul treno”…“Una persona si è buttata sotto il treno”. Fortunatamente dopo mezz’ora circa il treno riprese il cammino e tornai a Piacenza dove in stazione mi aspettavano ansiosi mio fratello e Teresa la mia futura cognata. Iniziavano intanto a circolare le prime idee su quanto era successo: bomba, fuga di gas, ecc. L’obiettivo politico di un atto del genere a me parve subito chiaro: impedire la partecipazione democratica dei cittadini, gettare nel panico la società per poi presentarsi come i paladini dell’ordine e della legalità. Io due giorni dopo quel fatto ero di nuovo a Bologna in Piazza Maggiore per manifestare il mio no a quel disegno politico. Quel giorno il governo fu fischiato e avvisato: vogliamo giustizia e che siano riconosciute le responsabilità dei servizi segreti. Una cosa divertente, pur nella sua tragicità, mi successe qualche giorno dopo: un carabiniere che conoscevo mi consegnò l’identikit di una persona sospetta che vagamente mi somigliava e mi disse di stare attento. A ventidue anni di distanza, giustizia ancora non è stata fatta: ottantacinque persone sono morte e non si conoscono i nomi dei mandanti di quella strage fascista. A me, che pure potevo essere una delle vittime e mi sento colpito come cittadino democratico, non interessa la vendetta, ma ottenere giustizia, poiché è attraverso essa che si può impedire il ripetersi di simili attentati e si può mantenere viva la democrazia. Il fatto che ancora oggi giustizia non sia stata compiuta e che il governo sia stato addirittura in dubbio se partecipare o meno alla manifestazione di commemorazione della strage, mi pone pesanti interrogativi e mi fa sentire distintamente tanti campanellini d’allarme. Vorrei invitare tutti a mantenere viva l’iniziativa per la democrazia, a non smettere di chiedere giustizia e pari dignità per tutti i cittadini, anche a fronte delle recenti discussioni parlamentari che a mio parere mettono in discussione tali principi.” Un’ultima riflessione: giustizia e pari dignità sociale, unite al diritto al lavoro, sono le stesse richieste che da sempre muovono le lotte dei lavoratori calabresi, e si riallacciano idealmente alle tragiche giornate delle occupazioni delle terre a Melissa nel 1949 che si conclusero con tre morti innocenti colpiti inopinatamente dalle forze dell’ordine.
IL TERRORE NEI GIORNI NOSTRI – Alle riflessioni scritte nel 2002 vorrei aggiungerne brevemente altre che mi sembrano opportune. Ciò anche alla luce dei recenti atti terroristici che, seppure di natura diversa, fanno comunque leva sul fatto di creare paura nelle persone e di eliminare conquiste sociali, politiche e civili che consentono ai cittadini,tutti e tutte, di convivere nel rispetto di regole e leggi condivise. A fronte di questi nuovi attentati provo un forte senso di dolore misto a rabbia. Dolore per tutte le vittime innocenti degli attentati che insanguinano l’Europa e non solo, ben sapendo che si rischia sempre di apparire unilaterali negli elenchi dei morti, poiché contemporaneamente all’incolpevole prete di Rouen (per citare l’ultimo) ve ne sono altri ugualmente innocenti frutto anche di insensate scelte “europee”: morti in Sudan, in Siria, in Iraq, Afghanistan, negli Stati Uniti, e via con l’elenco. Ora da quello che si sente bisogna aggiungere i morti dell’ospedale pediatrico in Siria e non voglio entrare nel merito di chi sono le responsabilità degli attacchi. Tutte queste morti sono un dolore per me. La nostra cultura non si può basare sulla violenza e sulle uccisioni.
STRAGI E GUERRE – La rabbia è dovuta al fatto che su queste morti c’è sempre chi specula, come c’era chi voleva speculare su quelli della strage di Bologna. Ancora una volta come nell’80 queste stragi vorrebbero spingere le persone le une contro le altre, in questo caso con la scusa della guerra di religione. E’ proprio questo quello che si propongono le menti delle stragi: spingere l’odio verso chi ha una religione diversa o verso chi non ne ha affatto. Potremmo parlare anche della Turchia dove un tentato colpo di stato (non importa quanto reale o pilotato) ha dato il via ad un’incredibile epurazione di massa. Oggi come ieri, come con le bombe a Bologna nell’80, le stragi e le guerre servono solo per toglierci la capacità di ragionare serenamente, per “metterci il sangue davanti agli occhi” e impedirci di vedere l’unica possibilità che l’umanità ha per continuare ad esistere: convivere e condividere le ricchezze di questo mondo togliendo così potere a chi vorrebbe tutto per sé. Anche in questo io vedo tanti riferimenti con le lotte che i contadini di Melissa condussero nel lontano 1949. Donne, uomini, vecchi e bambini accomunati da una vita misera e che volevano poter vivere del loro lavoro, cioè poter lavorare le terre lasciate incolte dai pochi che non avevano il problema della sopravvivenza. L’attacco ordinato contro di loro, e che causò tre morti e una ventina di feriti, fu il tentativo di impedire che il mondo potesse vedere la violenza della loro povertà e l’iniquità di non condividere quello che la terra metteva a disposizione.
Roberto Lovattini
Per fortuna che, nonostante lo squallore delle nuove generazioni, c’e’ chi ha ancora memoria storica.