Riporto fedelmente la descrizione tratta dal libro edito in proprio con l’imprimatur del Padre Provinciale Teodosio Sighele in Tropea il 12 marzo 1944 ed in Santa Severina il 28 marzo dello stesso anno dell’Arcivescovo Antonio Galati, nativo di Vallelonga, con la certezza, come da sempre auspicato da chi scrive questa nota, che l’imponente festa settennale cutrese e la valorizzazione della seicentesca scultura lignea entrino a far parte a pieno titolo nel circuito del turismo religioso dell’intera Calabria.
“Lungo la luminosa strada jonica, sulla direttrice Crotone – Catanzaro, a 16 Km dalla città di Pitagora, sorge Cutro, su di un altipiano a vista della Sila e dello Jonio. Una popolazione laboriosa, di oltre ottomila abitanti, che forma il centro, profonde alla terra il tesoro delle sue vigorose braccia, talchè il grano, importante risorsa del luogo, leva alte, nell’estate, le sue spighe d’oro, sempre opime e benedette; e nei pascoli invernali – primaverili ricchi greggi s’allevano sani e lanuti, in una festosa cornice agreste, in uno sfondo verde – puro, di chiara visione virgiliana! Siede, quindi, il Comune, nel mareggiare delle messi, nel centro industre del Marchesato, in terra così fertile, ed in territorio così propizio, tanto che ad ogni raccolto, il grano frutta un vero filone d’oro, per il benessere nazionale. Secondo un sentimento popolare, codesto stato di prosperità trae i suoi auspici dalla presenza di un antico santuario, nel quale si venera il famoso Crocefisso di Cutro, un’opera d’arte d’indiscusso valore. Un ampio vialone di qualche centinaio di metri, congiunge Cutro al suo storico Santuario dei Frati Minori, situato in una splendida e amena zona ricca di ulivi e di frumento. Raccolto, nella quiete francescana, con da presso il suo pino secolare gigantesco ed ombrelliforme, il convento dei buoni Frati, col suo Santuario, alza nello sfondo riposante degli ulivi, la facciata bianca. Da quel Santuario si sprigiona per tutta la Regione, la fama del Crocefisso di Cutro,, opera d’arte trasecolare di un umile monaco dei Minori. Il Governo Italiano – da qualche tempo – a mezzo della Sopraintendenza dell’antichità ed arte della Calabria e Lucania, ha riconosciuto la mirabile scultura “degna di notevole interesse artistico”. Si vuole che essa sia stata eseguita nel periodo 1626-1631 da un pio frate francescano, frate Umile [Pintorno n.d.r.] da Petralia, nel periodo in cui la scultura lignea del seicento fioriva nella Regione. Frate Umile – siciliano di natali – la cui fama di scultore era nota, in tutti gli ordini religiosi di San Francesco, si portò a Cutro, durante il Provincialato di Padre Benedetto da Cutro e Padre Daniele, e quivi nella Chiesa del SS. Salvatore – oggi della Riforma – (costruita da Padre Giacomo da Cutro 1580-1602 ), il monaco artista diè alla luce codesta meravigliosa scultura, fedele e prodigiosa riproduzione di Gesù Crocefisso. Molti sono gli ammiratori e gli studiosi che, che da qualche cinquantennio in qua, si sono avvicendati nello attento esame della scultura seicentesca. Il più appassionato, profondo cultore dell’arte sacra, è Alfonso Frangipane che, a Reggio Calabria, dirige la Società Mattia Preti.
Egli occupandosi, nella sua rivista d’arte ‘Brutium’, della scultura di Cutro, diceva, fra l’altro, ‘Il surrealismo di alcuni scultori modernissimi, e certa arte sacra, che cosa varranno dinnanzi a così fervido moto precursore ed alle opere del piccolo monaco seicentesco, formatosi spontaneamente, con semplicità assoluta di cuore e di mezzi, nel silenzio delle montagne e nelle collinette romite?’ E non è che da qualche anno fa: un gruppo di scienziati delle Università italiane, in visita per la Calabria, visitava la sacra Immagine. Gli illustri ospiti furono colpiti dalla bellezza augusta della statua, ed uno di loro scriveva, in merito, sul ‘Telegrafo’ di Torino: “…E il Cristo apparve. Grande le braccia spalancate, il capo chino sulla spalla destra sotto il peso di una spessa corona a più giri di grosse spine, il corpo lungo e bellissimo, tutto chiazzato e rigato di sangue. Guardavamo e forse soffrivamo, in silenzio. Guardai più intensamente il volto: mirabile di divina dolorosa serenità nei tratti lunghi e affilati, chiaro fuori della spessa cornice nera della corona, della barba, dei capelli; scuro e pesante di profonda stanchezza, ma morbida, l’ombra delle orbite; chiusa e diritta, senza contrazione di spasimo, la bocca; un volto di pace, su tutto quel sangue ruscellante, dal capo trafitto per le spalle dal costato aperto sino ai piedi irrigiditi, un volto di pura mitezza francescana, senza segni di strazio e di orrore”. Potevamo sperare, o devoti cutresi, un maggiore e più alto cantore della Grande statua del Crocefisso? Ogni anno, nei primi tre giorni di maggio, quando più folgora la primavera jonica, ha luogo la tradizionale festa in onore della Sacra Immagine. Ed è dal maggio del 1861 che pare ha luogo – ogni sette anni – la processione grandiosa del Crocefisso di Cutro, la quale richiama, in questo centro, migliaia di pellegrini e di devoti, che giungono da ogni contrada calabrese, gente della Sila e gente dei due Mari, per sciogliere i loro voti, dinnanzi al miracoloso Simulacro.
A dare inizio, a codesto ciclo settenario della festa, che si celebra con un fasto particolare (sia ecclesiastico che profano) fu il dotto prelato del tempo, Primicerio Don Antonio Piterà, che, sotto il Pontificato di Pio IX, venne consacrato Vescovo [di Bova n.d.r.] Si racconta che in quell’anno (1861) la siccità colpì fortemente le culture del nostro grano. Le spighe, per mancanza dell’acqua, intisichivano miseramente, e l’annata si prevedeva pessima, e la fame del nostro contadino era nella certezza. Il cuore del popolo, allora, rivolse la sua calda ansiosa preghiera al suo Crocefisso. Il Rev. Primicerio Don Antonio Piterà – interprete dei sentimenti della massa devota – decise di muovere, dalla sua nicchia, il Grande Simulacro, e di portarlo in trionfo per le vie cittadine, onde potere ottenere la grazia dell’acqua, nella terra seminata con tanti sacrifici dal contadino. E, mercè la Divina intercessione, l’acqua venne copiosa sul terreno: l’annata fu salva, e il pane ritornò lieto in ogni casa e su di ogni tavola! Da allora, ogni sette anni, si ripete la processione del Crocefisso, la quale assurge ad una vera apoteosi di religione e di amore. In questo ultimo quarto di secolo il Convento ed il Santuario, sono stati radicalmente migliorati ed abbelliti, dall’operosità e belvolere del compianto Padre Antonio Campanella Rettore del Santuario. Il suo nome è indissolubilmente legato alla rinascita del sacro Luogo, con opere durevoli nella storia del Santuario. Auguriamo che siano fatte sempre più belle e sempre più degne le mura sacre, che custodiscono quella grande Opera di religione e di cuore, di arte e di fede del nostro Crocefisso. È stato ed è il grande Faro, da cui si irradia tanta luce di divina bontà, e tanta forza, e tanta speranza e tante virtù, per la nostra quotidiana fatica e per il nostro inquieto vivere! E ci conceda – il nostro Crocefisso – la Sua benedizione, benedizione per i nostri morti, per i nostri vivi, Benedizioni sul nostro cammino incerto e pieno d’incognite, che la Guerra devastatrice ha reso sempre più incerto e sempre più tribolato. (Alfonso Galasso)