di Franco Vallone. In Calabria era ed è considerato il gelato dei poveri. Scirubetta, un vero e proprio documento di archeologia alimentare, un antichissimo antenato del gelato. Il nome scirubetta ha certamente origine turca, nel termine sherbet, a sua volta derivato dall’arabo sharbat che significa “bevanda o gelato”. In italiano, secondo alcuni studiosi, le parole sorbetto e sciroppo deriverebbero proprio da questo termine arabo. Abbiamo chiesto a Michele De Luca, glottologo di Roma ma originario di Parghelia, di darci una definizione più precisa del termine calabrese: “Scirubbetta, dall’arabo sciarbat, o dal turco scerbet ‘bevanda’, o meglio ‘bevanda a base di neve fresca con l’aggiunta di vino cotto di fichi o sciroppi, soprattutto il cedro. La definizione di granita è inadeguata, poiché si faceva attraverso la lavorazione di lunghe lastre di ghiaccio, utilizzando un’apposita machinetta, quella che oggi, usano ancora a Roma, per preparare la grattachecca. A Parghelia la scirubbetta si chiamava anche sciambetta! Non è neppure un sorbetto, ché è fatto con l’aggiunta di latte ed altri ingredienti. Per estensione la scirubbetta può essere chiamata rinfresco, granita, ghiacciata”. In Calabria, la terra della scirubetta originaria, il termine viene utilizzato da centinaia di anni ed oggi in tutto il Medio Oriente lo sharbat è una bevanda fredda e dolce, densa, da sorbire con cucchiaino o liquida da bere. Una tradizione profonda che si apre sulla primordiale forma di gelato e di cui traccia si può ricercare in qualsiasi popolazione abbia avuto accesso a zone montane innevate. In Cina si degustava neve mista a miele di api già 6000 anni fa, ma la neve dolce la ritroviamo in tante altre antiche culture, in Persia, in Egitto, testimoniato anche da alcuni reperti ritrovati in una tomba di 4.500 anni fa, e in Mesopotamia.
Nell’antica Grecia, intorno al 500 a.C, si faceva uso di neve per creare dolci fredde bevande, il tutto è testimoniato da un poeta di quel tempo. Nella Roma antica lo stesso Plinio ne testimonia l’esistenza, la città era disseminata di chioschi per rinfrancarsi che offrivano neve mescolata a miele e ad altri succhi dolci. In Calabria la scirubetta, come termine, arriva quasi sicuramente con il passaggio degli arabi ma l’usanza è molto più antica, forse del periodo della Magna Grecia. La preparazione tradizionale della scirubetta a Vibo Valentia e provincia prevedeva la raccolta della neve in una grande pentola, suddivisa nei bicchieri o nei piatti, la manciata di neve fresca veniva inondata di un cotto di fichi detto meli ‘i ficu o vincotto di fichi, o di altri aromi: vinucottu, il mosto cotto, succo di arance, di limoni, bergamotto, cedro, caffè freddo, cioccolata, anice, con l’aggiuna a piacere di zucchero e qualche foglia di menta fresca.) Il miele di fichi in Calabria viene prodotto ancora oggi facendo bollire i fichi in un po d’acqua, tirandoli fino ad ottenere una densità molto simile a quella del miele o della melassa. Si tratta di un prodotto artigianale e realizzato dopo un lungo processo senza l’aggiunta di alcun conservante o colorante. Con più di 20 kg di fichi si ricava meno di un chilo di prodotto. Per quanto riguarda la materia prima, la neve, anche a Vibo Valentia c’era un luogo sotterraneo, delle profonde cavità nel terreno dove si conservava la neve fino in estate. La zona Serra San Bruno era il luogo di raccolta dove la neve veniva compattata dai nevaioli, compressa in blocchi che erano poi trasportati nella nevaia di Monteleone,Vibo Valentia, lungo l’attuale via Croce Nivera, nei pressi del Castello, un ambiente sotterraneo destinato a far da cella frigorifera, usando abbondante paglia come isolante termico. La pratica di conservazione della neve, base fondamentale della nostra scirubetta, delle granite e del gelato di una volta è rimasta invariata in luoghi e tempi assai lontani tra loro, dalla Cina pre-imperiale fino a Monteleone, Vibo Valentia, alla Calabria. La scirubetta sopravvive da migliaia di anni ed oggi ha dei nemici che possono farla scomparire per sempre, le scie di condensazione degli aerei ricche di idrocarburi, lo smog e l’inquinamento in generale. La neve, si dice sottovoce, non è più quella di una volta e non sembra poi così bianca e candida.