Tra i grandi patrimoni del nostro territorio cirotano occupano una posizione di primo piano i nostri vigneti, che producono grappoli d’uva simili ad un’opera d’arte: compatti, grandi, piramidali o conici, di un formidabile colore che sfuma dal rubino al nero violaceo, a maturazione glucidica, regalando chicchi aromatici e zuccherini. Da questo tesoro della natura, oltre al prezioso vino riceviamo un ulteriore regalo, il vino cotto ricavato dal mosto e poi una vera prelibatezza, la mostarda o marmellata d’uva. La preparazione della mostarda rispecchia la tradizione tramandata da madre in figlia anche attraverso antichi riti di famiglia. Le sorelle Caterina ed Annarita Chimenti ogni anno, nella prima meta’ del mese di Ottobre dedicano una intera giornata alla preparazione di questo autentico nettare con cui preparano crostate e dolci natalizi. E’ una tradizione per loro irrinunciabile perche’ cosi’ faceva la loro mamma, la compianta signora Margherita Ferrari e loro fin da piccoline seguivano, appresso alla mamma, le varie fasi di tutti i tipi di provvista che la signora preparava nel suo magazzino-garage-dispensa sotto casa, a seconda del periodo dell’anno.
I primi di Ottobre era il periodo del mosto cotto da cui ci si assicura per l’inverno la provvista del vino cotto utilizzato sia per il grano di Santa Lucia, la sera della vigilia del 13 dicembre e sia per preparare il sanguinaccio (‘u sancilu’) aggiungendolo al sangue del maiale e facendolo restringere sul fuoco con aromi di cannella e chiodi di garofano, da consumare preferibilmente accompagnato alla ricotta. Negli anni piu’ bui, quando veramente non c’era niente, la fantasia popolare si invento’ una specie di dessert (‘a scilibretta) mettendo in un bicchiere un po’ di neve fresca e versandovi sopra il vino cotto bello denso. Nel caso delle sorelle Chimenti e’ toccante come la tradizione si ripeta; le due bambine di Caterina, le sorelline Margherita e Dimitria Parrilla, assistono la mamma e la zia durante la lavorazione delle provviste, aiutando anche, come a loro volta facevano la mamma e la zia da piccole; guardano, osservano e imparano. Grazie alla disponibilita’ di tutte e quattro abbiamo potuto seguire per tutta la giornata della domenica ogni singola fase di questo lunghissimo procedimento in cui si parte la mattina con due cassette di uva e si arriva alla sera, dopo ore ed ore di lavorazione attenta ed esperta, ad ottenere neanche una decina di piccoli barattoli di prelibata e genuina marmellata d’uva, seguendo alla lettera la tradizione di famiglia. L’uva e’ stata gentilmente fornita dai vitivinicoltori Sergio Arcuri e Giuseppe Ippolito, una magnifica ed eccezionale qualita’ di uva ‘pedilonga’ molto dolce, dai chicchi bluastri, grossi e consistenti.
IL PROCEDIMENTO (Galleria fotografica passo passo) – Ore 10,00 si comincia lavando per bene i grappoli, si scolano e si inizia a staccare uno ad uno gli acini dal grappolo riempiendo un grande contenitore. Si lavano ancora i chicchi, si scolano per bene e si versano nel pentolone di alluminio (conchetta),alimentato dal fornello a terra, indispensabile per questo tipo di conserve. Il locale e’ lo stesso che da quasi 50 anni e’ sede e testimone di tutte le provviste della famiglia Chimenti; vi sono state fatte conserve di salsa di pomodoro, provviste di maiale, peperoni arrostiti, salati (pipi salati), melanzane ed olive. Il lavabo in pietra che si vede nelle foto ha piu’ di mezzo secolo, e’ carico di ricordi e le sorelle Chimenti non ci pensano proprio a sostituirlo, a parte che funziona benissimo. I chicchi d’uva, nel pentolone con il coperchio, hanno bisogno di circa tre quarti d’ora sul fuoco per appassirsi e quando sono intiepiditi si passa alla fase successiva: con uno scolapasta o colino si versano un po’ alla volta i chicchi nel setaccio facendo filtrare la polpa eliminando semini e pelle. Alcuni usano il passatutto ma le sorelle Chimenti si avvalgono (secondo tradizione) di un antico setaccio (crivu oppure crivunu) lo stesso che adoperava la loro mamma. I chicchi si schiacciano con le mani spingendoli attraverso il setaccio che non fa passare nemmeno un semino.
Una volta ottenuta tutta la polpa, questa si versa nel pentolone e per quattro ore e mezza, a fuoco lento e senza coperchio, rimestando spesso, si fa restringere fino ad ottenere la marmellata. Il pregio di questa uva veramente favolosa e’ che non necessita di altro, ne’ zucchero, ne’ aromi, niente di niente, solo la sua stessa polpa che restringendosi si trasforma in una specie di morbido e profumatissimo caramello di un incredibile colore rubino, blu, nero,viola, tutti sfumati insieme. Per essere certi del giusto grado di densita’ si fa la prova del piatto, se ne versa un po’ e si traccia con un cucchiaio un segno di croce, se nel campione di mostarda il segno della croce si delinea netto lasciando intravedere il bianco del piatto, e’ pronta. Appena tolta dal fuoco, la marmellata si versa immediatamente con un mestolo nei barattoli di vetro sterilizzati, si chiudono i tappi velocemente capovolgendo i barattoli su un piano di legno sotto una coperta di lana dove riposeranno tutta la notte per continuare la sterilizzazione e creare l’effetto sottovuoto. Sempre rispettando la tradizione materna, Annarita e Caterina riservano un po’ di marmellata per riempire a meta’ un piccolo “terzaluru” (antico contenitore di terracotta per le conserve) cospargendo la superficie con chiodi di garofano e cannella, chiudendolo con la carta del pane ed uno spago come faceva la mamma. Se qualcuno dovesse regalarvi un barattolino di mostarda, anche se non vi piace, ringraziate appropriatamente perchè a farla e’ veramente un lavoraccio.