Si è sempre a disagio davanti al dolore altrui, si è sinceramente addolorati di fronte alla perdita di un caro fraterno amico come Peppino Civitate, un uomo che ha onorato la Calabria in tutti i sensi. Il Prefetto Peppino Civitate lo ricordo durante le fasi della sua fulgida carriera, che nel suo ufficio non mancava mai gente della Calabria, tante persone si affidavano a lui per un posto di lavoro qualsiasi, una segnalazione, una indicazione utile per fare il giardiniere, il cameriere o qualche altra attività particolare. Lui era gentile, disponibile, generoso e umile con tutti. I sindaci del crotonese quante volte si rivolgevano a lui per sbloccare le pratiche di progetti bloccati, inerti dalla ferruginosa burocrazia e risolveva i problemi agitando la palude stagnante dell’immobilismo cronico del Sud.
Ricordo Peppino quando avevo 11 anni e frequentavo a Crotone il primo Avviamento Industriale. Abitavo nella sua casa e la sera io, Peppino e i fratelli Benito e Camillo dormivamo in ampia stanza, sotto il letto c’erano delle mele cotogne dalle quali esalava un profumo così intenso, agreste, pungente che sapeva di bosco che mi è rimasto appiccicato nel ricordo negli anni. Essendo figlio unico la sera ero sempre malinconico, specie quando dalla Marinella vedevo il treno che attraversava la Montecatini per andare a Sibari e passava da Cirò, allora per mitigare la mia tristezza, la mamma di Peppino mi raccontava una favola. Quindi con Peppino ci siamo sempre frequentati. Finito il liceo, la famiglia Civitate si trasferì a Roma, io nel 1960 mi stabilii pure a Roma, e quasi tutte le domeniche andavo a casa sua dove c’era zio Giovanni, il padre, i fratelli e la indimenticabile Teresa, seconda moglie dello zio, la quale ci cucinava pasta al forno o pasta con i legumi, ammanniva quel tavolo con pietanze gustose. Soppressate, melanzane a schipescio, sarde salate col pepe, “sciongata”, ricotta e caciocavallo, per ricordare la tradizione culinaria Cirotana.
Gli amici erano orgogliosi di avere un amico come Peppino e orgogliosi per Ginella sua moglie, una donna eccezionale, veemente, pratica, coraggiosa, soccorrevole per non parlare di Giovanni il loro figlio un ragazzo che è la personificazione della bontà, della educazione. Di Peppino mi manca la sua erudizione, la sua sterminata cultura, le sue citazioni in latino, le poesie di Catullo, i discorsi su Platone e Aristotele, l’amore che aveva per Dante Alighieri, per Virgilio, per Leopardi per Omero. Ricordava rigorosamente a memoria alcuni scritti di Orazio, e di molti filosofi Greci. La sua attitudine e le sue proprietà Mnemoniche sono indescrivibili. Il suo raffinato eloquio non era mai pleonastico, ma sempre vario, nuovo. Nella zona del crotonese e anche oltre, tutti conoscevano il Prefetto Civitate. Come Prefetto operò a Torino, a Terni, a Potenza, Matera…Una carriera splendida ovunque stimato e amato, a parte qualche personaggio colpito dal tarlo malefico dell’invidia, che non manca mai.
Peppino si è accomiatato con la sua proverbiale delicatezza, senza fare rumore, una sera di settembre è sceso dal treno della vita nella stazione del silenzio, senza più il tempo del futuro. Anche quando sarà sceso il velo di nebbia sulle stagioni che passano con struggente indifferenza, sui volti che invecchiano, su altri pezzi di vita che lasceranno il mondo, il suo ricordo sarà come un soffio leggero su gli amici che lo hanno stimato. Giovanni, suo figlio ha detto del padre: era un galantuomo, amava la gente, la sua terra, aveva la Calabria nel cuore. Ricordiamoci che è un atto di sincera e doverosa gratitudine ricordarlo sempre perché… siamo vissuti se siamo ricordati.
Cataldo Amoruso
Roma, come il resto d’Italia, quel 17 febbraio 1992 parlava di una sola cosa: una vettura dal lampeggiante azzurro si era fermata al Pio Albergo Trivulzio e prelevava il presidente Mario Chiesa, esponente del Partito Socialista Italiano. Con ‘zu Gigino Carelli (dinamico presidente della cooperativa Marino), Antonio Aloe (validissimo assessore comunale) e il fidato Mario Mingrone dopo aver pernottato al “Malaga”, ci rechiamo al Ministero dell’Interno per avere consigli e pareri dal prefetto Giuseppe Civitate su come organizzare l’appalto dei lavori di realizzazione del Porto di IV classe di Cirò Marinae sotto l’egida della trasparenza, efficacia, efficienza ed economicità. Nell’Ufficio di “Don Peppino” c’erano calabresi di Crotone, di Locri e di Umbriatico. Il prefetto Civitate citofonò il “migliore” dei funzionari degli Interni, che poi presiederà il “ Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere”, che nella stanza attigua alla sua ci ”imboccò”sul da farsi. L’incontro di formazione di noi amministratori e soprattutto di me sindaco fu preceduto da una raccomandazione che Don peppino rivolse al collega prefetto “Questa è gente mia, che lavora come noi per migliorare uomini e cose”. Condivido lo scritto “ispirato” (come sempre) di Cataldo Amoruso. Peppino Civitate era disponibileì con tutti. La Calabria intera si rivolgeva sempre a lui e lui verso tutti aveva una risposta e una soluzione. Non sapevo della sua dipartita. Riposi in pace, Don Peppino.