Non nascondo che l’aver seguito in Tv la storia vera, esemplare ed esaltante del Maestro Manzi mi ha commosso. In quegli anni ’60 mi è capitato spesso accendere il televisore e vedere la compostezza e la serenità didattico – pedagogica di quel Maestro. Tanti anni dopo anch’io avrei intrapreso quella strada: “maestro elementare” per un ventennio. Alcuni anni da maestro singolo ed altri in “compresenza” nei poco felici “moduli”. Le due serate televisive con Manzi mi hanno emozionato e non poco e fino alle lacrime: ho rivisto i miei vecchi alunni di Cutro, Firenze, Palagianello e San Mauro Marchesato. E solo per rimanere alla scuola elementare. Ma non posso sottacere di ricordare l’esperienza alla scuola superiore con i meravigliosi ragazzi del “Gangale” di Cirò Marina: altra esperienza esaltante. Il maestro elementare, una figura ormai declassata per puro calcolo occupazionale apprezzabile ma che doveva essere rimodulato diversamente; una figura ormai diventata caro e nostalgico ricordo del tempo passato. E però, qua e là ancora si avverte la mancanza del maestro unico della classe come Manzi ce l’ha ricordato. Il maestro, l’educatore e quel suo lavoro umano e cristiano forse è finito. Il maestro – missionario, chè tale era allora come oggi in alcune realtà meridionali ma anche in tanti paesi del nord, sapeva accettare e “comprendere” la vita dei suoi scolari perché credeva in loro e nelle loro possibilità. Sapeva operare in termini deamicisiani e alla maniera del Manzi e del Don Milani: si avvicinava al fanciullo con l’animo del padre tenero, affettuoso e delicato e non si risparmiava quando doveva fare il medico in classe o anche il bidello. Era sempre pronto a correre verso chi aveva bisogno di lui. Sì, perché gli uomini si formano con l’educare, il capire e l’amare.
Tutte le azioni del maestro erano improntate al modello cristiano. In sostanza era il maestro che aveva studiato un bel trattato di pedagogia e lo riportava in classe, fra i numerosissimi alunni di ceto eterogeneo, senza tante astrattezze, ma fatto di umiltà, di semplicità, di amore e valido per ogni tempo e luogo. Le classi erano il campo vivo dell’anarchia costruttiva, non sempre così dappertutto per la verità, con gli alunni seduti in modo da dialogare col maestro e tra loro. Il maestro portava con sé il suo laboratorio di idee con tecniche di apprendimento, strategie di conoscenza, itinerari didattici maieutici perché non è vero che il bambino quando entra in una aula è “tabula rasa” e questo lo sapeva bene il maestro di allora. Siamo davanti alla metafora dell’opera svolta dall’ostetrica, secondo il modello socratico, che aiuta il bambino a nascere. Nascere comporta un’apertura alla realtà, a risvegliare, cioè, l’uomo attraverso una corretta comunicazione e trasmissione di conoscenze. Il maestro sapeva bene che la scuola va vista dalla parte degli alunni e del loro diritto a maturare e ritrovare il proprio posto nella vita. Perché, come scrive il Papa emerito Benedetto XVI, “L’educazione è un atto finalizzato a una precisa concezione della persona. Educare è una necessità, ma anche un impegno e un rischio da assumere con coraggio, perché il desiderio di verità e di bellezza, che è nel cuore di ciascuno, indichi la via ragionevole di una proposta capace di indirizzare <verso l’oltre> l’intelligenza e la libertà di ogni persona”. Alberto Manzi e contemporaneamente Don Milani e i tanti maestri elementari del dopoguerra e anche oltre sapevano che compito primario dell’educazione è di preparare il futuro uomo – cittadino ad affrontare la vita, migliorando sè stessi e le relazioni con gli altri, in sintonia con i valori universali: amore, giustizia, bellezza, verità, onestà, solidarietà, pace e amicizia, coltivando l’essenziale e tralasciando il superfluo. “Gli esseri umani – ancora Benedetto XVI – necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore”. Sarà pure scomparso il “maestro unico”, e il maestro elementare di altri tempi ma gli insegnanti di oggi, seppur in condizioni sicuramente più favorevoli, non sono da meno ed anche con sacrifici personali. Provare per credere: nei tanti piccoli paesi ancora poveri e spopolati del Sud e le tante realtà delle montagne alpine ed anche nei centri multietnici della pianura padana: anche qui i giovani colleghi portano il loro impegno, la passione, la disponibilità evangelica e la creatività ma…tutto ancora poco o nulla apprezzato.