In Italia e, nel Meridione in particolare, c’è uno stato d’animo molto diffuso di sfiducia e diffidenza verso i governanti, verso le istituzioni, nei rapporti cittadino-stato. Questa diffidenza trova il fondamento nella crisi culturale, politica ed anche religiosa della società italiana, la quale vive in uno stato d’incertezza permanente. Il motivo di tale diffidenza, a parere di tanti, sta nel fatto che la democrazia oggi ha solo valore di etichetta, come quelle multicolori appiccicate sulle confezioni di medicinali innocui, dove i colori servono solo come richiamo per ingenui acquirenti, di un prodotto inutile. La crisi culturale e politica si traduce in crisi di civiltà, per cui si ha dell’Italia un quadro desolante e si assiste impotenti a questo declino. Se poi è un modesto stipendiato o salariato, come la maggior parte del ceto medio, vive oppresso dalle tasse, dalle bollette della luce, del telefono, del gas, dell’acqua, della spazzatura, dell’IMU e da altri tributi e balzelli che gli amministratori s’inventano giornalmente, che assorbono quasi tutto lo stipendio o il salario, per cui diminuiscono i consumi, di conseguenza non si contano più le aziende commerciali che chiudono i battenti. Non dobbiamo dimenticare, poi, che la disoccupazione e il precariato impera, quando l’economia di una nazione è in crisi, anche se si cerca invano di eliminare queste piaghe ricorrendo ai pannolini caldi. Ciò avviene perché in Italia, in questi ultimi decenni, ci siamo trovati, a ogni livello istituzionale, una classe, anzi una sottoclasse politica, sempre più scadente e gli organi responsabili, come il parlamento e il governo, hanno permesso, per loro debolezza, una dissennata ingerenza dei partiti nelle delicate funzioni del potere legislativo ed esecutivo, creando la cosiddetta partitocrazia, quasi sempre sopraffattrice dei diritti e degli interessi della collettività a favore della propria parrocchia.
La mobilizzazione dell’apparato industriale, la sua pseudo conversione e modernizzazione, con le tragiche conseguenze sui livelli occupazionali, la crisi finanziaria, la lottizzazione dello stato, con il diffondersi dei poteri occulti, le scelte non corrette di politica economica, la politica energetica poco lungimirante, l’allegra gestione delle partecipazioni statali, l’abbandono della ricerca scientifica, lo strapotere delle banche, l’iniqua gestione della macchina fiscale, lo sperpero di risorse nella gestione della pubblica amministrazione, l’incrinarsi del rapporto di fiducia tra cittadino e istituzioni, il saccheggio sistematico del territorio e l’insorgenza di nuovi e più drammatici fenomeni di emarginazione pongono, di fronte a tutti coloro che hanno a cuore le sorti del nostro Pese, la necessità di far crescere dal basso le ragioni ed i contenuti di una radicale svolta. L’uomo onesto, davanti ad uno spettacolo così desolante e insanabile, resta disgustato, mentre attende speranzoso che la vecchia classe dirigente venga scavalcata da forze nuove ed integre. Per realizzarsi, però, bisogna cambiare mentalità, ma anche criteri di rappresentanza e modi d’intervento, attraverso una nuova solidarietà, così si potrà salvare il Mezzogiorno dall’immagine amara che la storia e le rapine autorizzate gli hanno costruito. La crisi in atto, quindi, va vissuta come occasione di trasformazione, di rigenerazione, di rifondazione, di rinnovamento e non come processo inarrestabile di disfacimento: la speranza, come dicevano gli antichi Latini, è l’ultima a morire, perché è l’ultima risorsa disponibile all’uomo. Almeno questa non possono privarcela.