“La ‘lotta senza quartiere’ alla violenza di genere annunciata nei giorni corsi dal Presidente del Consiglio Letta, in occasione della presentazione del Decreto Legge anti Femminicidio, ha gia destato piu di una perplessita, specie se si legge nelle pieghe delle norme che, in alcuni casi non sembrano sortire l’effetto annunciato dal Ministro Alfano per il semplice fatto che non costituiscono nulla di innovativo – afferma in una nota Maria Cristina Guido (GD). Alcuni spunti sembrano interessanti e rispondono senza dubbio alla gravita che casi accaduti nei mesi scorsi hanno evidenziato: l’inasprimento della pena nei casi di ‘violenza assistita’, il permesso di soggiorno alle donne straniere vittime di violenza, l’aggravante per chi compie violenza su donne in gravidanza. Tuttavia, pur nella consapevolezza che viviamo in era post-ideologica e che lo slogan ‘destra e sinistra non esistono più’ risulti tra i piu diffusi in questo periodo, l’impianto che sottende il decreto mira a ribadire il concetto per cui l’inasprimento della pena sia il miglior deterrente, la soluzione ad una ‘emergenza sociale’ come viene ritenuto appunto il femminicidio. Saró ingenua, ma nello studio dei casi che negli ultimi anni si sono verificati, ho sempre pensato che l’omicida non si faccia dissuadere da 5 o 10 anni di carcere, tant’è che molti giornalisti ricorrevano a quella assurda teoria del raptus come motivazione della violenza piu spietata. Ma cio che colpisce é la mancanza di un metodo, quello applicato dalla Ministra Idem alla vigilia della ratifica della Convenzione di Istanbul, che vedeva la nascita di un tavolo di confronto con le associazioni che negli anni hanno sopperito all’assenza dello Stato, il piu delle volte a titolo di volontariato. Nonostante le richieste delle Democratiche e di larga parte degli addetti ai lavori e dell’associazionismo, non solo non è stato nominato il Ministro per le pari opportunita, ma si é tentato di rimediare attraverso un pacchetto di norme disomogeneo e per certi versi frettoloso. Apprezzabile é senza dubbio il fatto che si sia deciso di intervenire a fronte di un numero di reati ai danni di donne in quanto donne sempre crescente, tuttavia questo decreto interviene solo sul piano repressivo, al fine di bloccare gli autori di violenze ma risulta del tutto lacunoso in quanto non affronta il fenomeno in tutta la sua complessità.
Non voglio peccare di eccesso di dietrologia nel pensare che queste norme siano una sorta di ‘specchietto per allodole’ per spostare l’attenzione dalla proroga al taglio del finanziamento pubblico ai partiti, mostrato come un vessillo fino a poche settimane fa dall’esecutivo, peró si sarebbe auspicata la creazione ad esempio di un Osservatorio, utile ad analizzare e definire il fenomeno prima di assumere qualunque decisione, inoltre non si spiega perché si dia ampio risalto alle misure contro la violenza di genere, tacendo rispetto alle altre misure del Dl. Come la norma definita ‘anti no Tav’ che da poteri maggiori alle forze dell’ordine contro i manifestanti che bloccano i cantieri. Nonostante gli sforzi, ritengo che si sia avuto poco coraggio nel mettere in discussione gli stessi inneschi culturali che producono discriminazione e violenza nei confronti delle donne. Ripetiamo spesso come un mantra nelle nostre iniziative che quello della violenza di genere é un problema culturale e l’obbligo di arresto e l’allontanamento dell’autore di maltrattamenti in casi di flagranza di reato sebbene possa essere un altro strumento adeguato, non ci consente di prevedere cosa accadrà, una volta che l’autore di violenze sarà scarcerato. Se oltre a bloccare l’autore di violenze non si aiutano le donne con percorsi mirati a sganciarsi dalla relazione, allontanandole dal pericolo, tutelando i figli, rafforzando le loro scelte, offrendo sostegno e percorsi di autonomia, anche economica, che efficacia avranno gli arresti e le aggravanti? Se invece di guardare il dito si osservasse la luna, sarebbe presente nel decreto il finanziamento dei centri anti violenza, solo annunciato, e l’avvio di percorsi di formazione e sensibilizzazione nelle scuole e per gli agenti di polizia che a volte non hanmo strumenti adeguati a garantire protezione, da qui le tante denunce ritirate, o in altri casi derubricano i reati con troppa fretta, la cronoca di questi mesi lo testimonia. In Italia le strutture di accoglienza che mettono le donne al centro delle relazioni di aiuto, contano solo su 500 posti letto invece dei 5700 previsti dalle direttive europee. Dispiace contraddire i toni trionfalistici che i parlamentari di entrambi gli schieramenti usano per commentare il dl Letta, ma se si fa della violenza contro le donne una questione di ordine pubblico o la causa di “allarme sociale” invece che un problema culturale, se ancora non riusciamo a mettere a sistema interventi organici tra soggetti istituzionali e centri antiviolenza, se non siamo in grado di mettere in campo un accurato e inclusivo lavoro di rete al fine di garantire adeguato sostegno alle vittime, non potremo mai allinearci agli altri paesi europei. Spero solo che non si faccia, ancora una volta, melina sulla pelle delle donne, non lo meritiamo”.