“Sulla tua bianca tomba / sbocciano i fiori bianchi della vita. / Oh quanti anni sono già spariti / senza di te – quanti anni? / Sulla tua bianca tomba / ormai chiusa da anni / qualcosa sembra sollevarsi: / inesplicabile come la morte. / Sulla tua bianca tomba, / Madre, amore mio spento,/ dal mio amore filiale / una prece: / A lei dona l’eterno riposo.” Sono i versi della lirica Sulla tua tomba bianca di Karol il Grande, il nostro amato Papa Giovanni Paolo II, l’incipit di tutta la sua ricchezza poetica e con essa il poeta – sacerdote che scala, naturalmente con la partecipazione degli uomini, dei fedeli, verso Dio facilitato dalla Fede e trasportato dall’amore, per lodarlo dovunque esso si trovi ed in tutte le creature. Una di queste, risorsa primaria per la storia dell’uomo, è la “madre”. Alla sorgente della vita tutti noi attingiamo forza per andare avanti, per credere nel cammino. E quando sei costretto a startene con le mani in mano, e l’ozio si sa è fonte di pericoli, cosa puoi fare di meglio se non rifugiarti in una bella e ristoratrice lettura di poesie. Perché anche la poesia è madre, è fonte energetica alla quale possiamo attingere forza per incamminarci lungo i sentieri non sempre piani della quotidianità. E se poi le poesie sono quelle di un Papa, ti senti forse un privilegiato, sì privilegiato perché mentre leggi ti accorgi di pregare, di avvicinarti alla comprensione del senso della vita e del sapore del pane. Sono le poesie di Carol Wojtyla, edite nel 1994 dalla Newton Compton col semplice titolo di Poesie puntualmente e rigorosamente curate da don Santino Spartà. Leggendo verso per verso ti accorgi che l’obiettivo fondamentale del papa – poeta sembra essere quello di arrivare alla comprensione della caducità dei nostri giorni. Certo non è semplice leggere e giudicare non solo le poesie ma anche i tanti libri di Wojtyla sapendo che vengono dalla penna e dal sacro compito che andava svolgendo nella vita di tutti i giorni. Occorrerebbe leggere, insomma, le sue poesie, senza soffermarsi sul fatto che esse sono il frutto dell’ispirazione di un Papa, ma inserendole nel contesto storico, ed anche geografico del poeta o molto più semplicemente dell’uomo che ce le ha trasmesse. Ciò significa semplicemente che le Poesie si possono e si devono leggere come quelle di un poeta polacco che troveremmo di sicuro in una qualche antologia della letteratura europea, a prescindere dal grande evento del dopo, quello dell’essere diventato Papa.
Siamo davanti ad una corposa silloge poetica di Giovanni Paolo II che raccoglie gran parte della sua produzione finora pubblicata solo in modo frammentario con tante altre liriche offerte al godimento del credente e non solo, in passato, firmate da pseudonimi quali Andrzej Jawien, Stanislaw Gruda e Piotr Jasien. Sono poesie che seguono un tracciato di vita vissuta, di attivismo e silenzi quotidiani, prima ancora che poetico e attraverso il quale “fondamentalmente – scrive don Spartà – Karol Wojtyla scruta l’uomo nella sua attività concreta; nel suo concetto di patria; nella sua dinamica esistenziale, nelle sue convinzioni cristiane.” Il primo approccio con la letteratura e con la poesia in particolare è avvenuto negli anni del liceo Marcin Wadowita della città natale Wadowice ed appena diciannovenne, nella primavera del ’39 a Cracovia, scrive in memoria della madre scomparsa un decennio prima, i succitati versi Sulla tua tomba bianca. Più avanti nel ’44 già ci offre la pienezza della sua “chiamata” con Canto del Dio nascosto laddove i versi volano alto perché “L’amore mi ha spiegato ogni cosa,/ l’amore ha risolto tutto per me-/ perciò ammiro questo Amore /dovunque Esso si trovi./[…]Il Signore, quando attecchisce nell’intimo è come un fiore/ assetato di caldo sole./ Vieni, dunque, o luce, dalle profondità dell’inesplicabile giorno,/e posati sulla mia riva.” Si giungerà, presi dall’emozione, ad una poesia che affonda nel cuore della realtà e la penetra, la fa propria e la vive in un tutto inscindibile dove tormento ed estasi, emozioni ed aneliti si fondono fino a pervenire al mistero pasquale, il mistero del passaggio, come in Meditazione sulla morte del ’75 laddove si legge “Maturità, uno scavo nel midollo segreto,/ dell’immaginazione si afflosciano lembi come foglie/ che non riusciranno a spuntare dal tronco/ s’acquietano le cellule in cui ancora resiste un ultimo vibrare dei sensi,/ ed il corpo al suo culmine approda alle rive d’autunno/[…]Maturità è anche timore,/[…]Luogo del mio passare – / così legato al luogo della nascita…/Nei volti dei passanti v’è il disegno di Dio,/ ed il suo abisso scorre dietro la vita quotidiana./ Scivolando nella morte, rendo visibile l’attesa,/ gli occhi fissi ad un punto/[…]Tu Dio! Tu solo/ puoi sottrarre i nostri corpi alla terra.” Si arriva al 1952, il periodo “centrale” che costituisce l’impeto lirico più convincente, con L’errore perché :”Si può togliere ai pensieri il loro fondo quieto e silenzioso?/ Posso piegare la strada tutta da un lato,/ negli occhi di ragazzi e ragazze scoprire l’errore,/ perché quando scorrono file di macchine/ sembra che solo in quei finestrini l’infinito sia racchiuso.” Scrive Davide Marchetta che le liriche del Papa sono “l’alta testimonianza di un poeta che conosce a memoria il dolore, il messaggio d’un uomo condannato a pensare, a meditare e a mettere ininterrottamente in discussione la propria condizione di essere umano che si misura quotidianamente con l’interno bisogno, con l’urgenza, anzi, di un0illimitata vertigine: la vertigine della fede.” Già, la fede, la fede incrollabile che si cementa da sempre e per sempre attraverso la Chiesa, “la mia Chiesa che nasce insieme a me,/ ma non muore con me – ed io non muoio con lei/ che sempre mi sovrasta-/ Chiesa: il fondo e la vetta del mio essere.” Questa è l’eredità che ci lascia Giovanni Paolo II e non solo con le Poesie