Nelle due ultime corrispondenze mi sono soffermato sul degrado del patrimonio artistico e naturalistico cirotano, nonché sull’importanza della preservazione e del recupero del dialetto di Cirò Marina, o per meglio dire della ‘parlata’ in uso alla ‘Marina’, quella che, ricevendo influssi e anche impulsi dai dialetti di località più o meno vicine, è riuscita, anche se solo marginalmente, modificata rispetto al ‘corpus’ sintattico-lessicale costituito da quello che è il dialetto originario di ‘Cirò Superiore’, e uso quest’ultima denominazione pur sapendo che essa non riveste ormai alcun carattere ‘ufficiale’ (tantomeno ‘Cirò Scalo’, come scrivevo sulla data alle elementari!) . Le dinamiche della formazione di Cirò Marina sono grosso modo universalmente conosciute presso i suoi abitanti e risultano chiare anche grazie a qualche pregevole studio, come quello della Professoressa Maria Luisa Gentileschi, pubblicato nel 1970 dalla rivista ‘Studi meridionali’, nel quale veniva riassunto quel fenomeno indicato come ‘formazione delle marine’ e che interessò in particolare la fascia jonica calabrese. Da quello studio si può evincere come quell’agglomerato sorto intorno alla ‘Baracca del Caricatojo’ sia stato popolato da famiglie provenienti da Roccella Jonica, Cariati, Amalfi, i cui cognomi sono ancor oggi tra i più noti a Cirò Marina, e mi riferisco ai Carelli, Malena, Martino. Oltre, ovviamente, a quanti abbandonavano Cirò Superiore e anche altri paesi più o meno vicini, in cerca di terre da coltivare, anche se quest’ultimo movimento diventerà consistente solo con la successiva bonifica del litorale e con la riduzione e poi la eliminazione della malaria. Questa premessa serve a dire che anche il dialetto della ‘marina’ nasce dall’affermarsi come ‘superstrato’ del cirotano sui dialetti dei primi ‘pionieri’, che immagino dapprima esistiti come ‘adstrato’ e poi come ‘sostrato’ linguistico’, il tutto infine modificato dai prestiti linguistici apportati da commercianti, viaggiatori, emigrati di ritorno, matrimoni con ‘forestieri’, rapporti con ‘alloglotti’ ecc.: il dialetto cirotano, il ‘superstrato’ linguistico che si afferma, ne esce in qualche modo ‘nuovo’ o modificato, e comunque, a mio modestissimo parere, come ‘smussato’ e a volte privo delle asperità di altri dialetti di località vicine: si tratta, insomma, di un dialetto se non ‘neonato’ almeno ‘riveduto’ in base alle esigenze dei diversi fruitori. Un po’ mi spiace, dal momento che questa condizione fa probabilmente apparire la parlata di Cirò Marina, a volte, quasi come un italiano dalla forte influenza calabrese, oppure come un dialetto ‘italianizzato’.
Purtroppo, esaminando l’attuale parlata, molti suoi tratti distintivi risultano come erosi o perlomeno minacciati dall’incombere della lingua nazionale. Essendo quest’ultima uno ‘standard’(in senso linguistico), credo di poter dire che essa non sia ‘per definizione’ in grado di tradurre talune sensazioni, sentimenti, impressioni, ma anche ‘occorrenze’ quotidiane e conoscenze particolarissime, che solo il dialetto riesce a restituire nel loro significato integrale, anche col ricorso ai proverbi, ai giochi di parole, addirittura agli indovinelli o ai ‘detti degli antichi’ o ‘di una volta’. Questa è, secondo me, una delle funzioni più intimamente connesse ad ogni dialetto, realizzata attraverso la scelta che un ‘parlante’ opera, utilizzando la propria ‘parlata innata’, piuttosto che l’italiano: ogni volta che questo ‘parlante’, per nulla virtuale, si esprime ‘ar a pajsana’, quale che sia il suo grado di preparazione culturale o titolo di studio, non fa altro che perpetuare la cultura del luogo al quale appartiene. E questa è ottima cosa, contrariamente a quanti pensano di dover nascondere le proprie origini, scimmiottando magari cadenze e termini appartenenti ad altre latitudini… o anche ad una latitudine molto simile, per quanti insistono senza motivo a ‘crotonesizzare’ il cirotano. In chiusura e a scanso di equivoci aggiungo che ho usato con una certa disinvoltura, non essendo il sottoscritto che un semplice appassionato, alcuni termini specialistici (anche il termine ‘parlata’, per quanto possa non sembrarlo, lo è) della linguistica, e di ciò chiedo venia, pur rimanendo convinto che il ricorso a termini come ‘adstrato’ e simili non sia del tutto peregrino:si trattava di una sorta di paragone tra una realtà locale e quel fenomeno grandissimo e a volte insondabile che è l’espressione linguistica umana, ovvero il dono della parola. Poi, se queste mie righe troveranno il favore dei lettori, proverò a dire di qualche singolarità del dialetto cirotano e delle fonti alle quali attingere.
Cataldo Antonio Amoruso
da Piacenza
trovo molto interessante quanto dici a proposito del nostro dialetto, che io uso appena scorgo un paesano e rido quando usano cadenze dei luoghi dove abitano, fuori di Cirò marina.Ma non sono molti. Con gli autentici marinoti ci ritroviamo in estate ed è uno spasso conversare in dialetto. Mi incuriosiscono alcuni termini e parolo delle quali non riesco a capire la lingua di origine. Ti sarei grato se mi dessi indicazioni atte ed indirizzarmi verso “” fonti alle quali attingere “”
Grazie dell’attenzione, Quintino. Ti chiedo solo un po’ di pazienza: turni di lavoro permettendo ci proverò, ovviamente coi miei limiti.
Ti consiglio “L’identità della memoria” di Giuseppe Ferrari…meraviglioso…quasi da lacrime 🙂
Proprio oggi ho inviato a ‘Il cirotano’ una corrispondenza in cui faccio cenno a quel libro come fonte imprescindibile. Ritenendo che l’opera ‘corale’ del maestro Ferrari meriti profonda attenzione, per ora, cioè nella ‘corrispondenza’ appena inviata, mi solo limitato ad accennarla solamente. Anche perché, parlando di persone la cui scomparsa ancora brucia nei cuori dei loro cari, una gran dose di ‘accortezza’ e la calibrazione di ogni parola sono doverose.
Grazie. (PS: per le ‘faccine’ sono un po’ vecchio, ma fai conto che abbia ricambiato con uno ‘smile’… ciao.)