Le nuove generazioni devono conoscere Iovale, un personaggio che ha tanto entusiasmato i nostri antenati. Leggete questa novella: “Il contadino, Iovale e la morte” che è una delle tante che io ho recuperato nel mio libro di futura pubblicazione. “La leggenda di Iovale”. Secondo un’antica leggenda calabrese, Iovale nacque una fredda notte di gennaio in un paese della Sila. Il padre era un mago chiamato “Magarò” e la madre, una contadina che si chiamava Rosina, figlia della strega Aldina. Iovale era dotato di poteri eccezionali, in determinate occasioni, in altre era un “Tontolone”. Sin da ragazzo si era distinto fra i coetanei per il coraggio e per alcune inspiegabili prodigiose avventure capitategli. Il suo paese sorgeva su di un monte e le case erano abbarbicate alla terra, minacciate dalla neve e dall’acqua che con il loro dislavamento (flusso) rabbioso provocava frane. D’inverno gli abitanti del paese erano impauriti, quando scendevano a valle per la pericolosità della strada, pareva che la montagna volesse riprendersi lo scabroso possesso geologico di tutti gli balzi di roccia e delle protuberanze che le erano state strappate…
“Il contadino, Iovale e la morte”
Un giorno afoso d’agosto, Gesù e San Pietro camminavano lungo una via polverosa fra mandrie di capre, asini, carri e traini. Giunsero in un podere in cui abitava, in una piccola casupola, il contadino Giuseppe Cipolla che, in quel momento, prendeva il fresco sotto un albero di gelso insieme a suo nipote Iovale. Si udiva solo il rumore della noria e dell’asino bendato che girava e girava senza posa attorno al pozzo. Gesù si asciugò il sudore e si avvicinò al pozzo, rivolto al contadino chiese se poteva bere un sorso d’acqua, quest’ultimo, premuroso, rispose:
<<Bevete, bevete, l’acqua non si rifiuta mai a nessun cristiano.>>
Nel frattempo, San Pietro si avvicinò al contadino e, a voce bassa, gli sussurrò all’orecchio:
<<Buon uomo, ascoltatemi, quel giovane che sta bevendo al pozzo è Gesù, il mio maestro.>>
<<Gesù di Nazzaret?>> Esclamò l’uomo stupito, per quella rivelazione.
<<Sì, è proprio lui.>>
<<Allora posso chiedergli una grazia? >>
<<Certamente, un’occasione migliore di questa non ti capiterà mai più nella vita.>>
Il contadino si alzò dallo scanno di legno e si avvicinò a Gesù, seguito da Iovale.
<<Maestro, sono felicissimo di avervi qui nel mio modesto podere, tutto quello che posso offrirvi è un pezzo di pane, un po’ di formaggio, qualche cipolla, una minestra di fagioli e delle olive.>>
<<Grazie buon uomo, avevo solo sete, non ho fame. So che vuoi chiedermi qualcosa, su, dimmi che cosa posso fare per te? >>
<<Ehm! Mi avete letto nel pensiero, maestro? >> esclamò il contadino al colmo della meraviglia, e continuò. << Vi chiedo solo un favore, vedete quell’albero di fico?>> E a menadito gl’indicò l’albero. << Ebbene io desidererei, che chiunque vi salisse sopra per mangiare il frutto, potrebbe scendere solo se glielo permettessi io, questo perché, sono infestato dai ladri che salgono e scendono dal fico e, a volte, mi minacciano pure. Un certo Serafino Polito, l’altro giorno mi ha minacciato con un coltello, che dovevo fare maestro? Ci dovevamo ammazzare per quattro fichi?>>
<<Va bene, va bene>> disse Gesù. <<e così sia, che nessuno possa scendere dal fico senza il tuo consenso.>>
<<Grazie, Signore, grazie>> mormorò commosso il contadino.
<<Zù Peppì…Chiedigli a Gesù di darti due capre, una lucertola a due code e un mulo.>> Disse Iovale.
<<Iovale! Iovale…non cambi mai…ma quale mulo! Quale capra, stai zitto.>>
Gesù, guardò Iovale negli occhi, abbozzò un sorriso e si allontanò, mentre San Pietro si avvicinò al contadino e gli disse:
<<Peppino…potevi chiedergli di più.>>
<<Potevi chiedergli un porco nero, o una pecora della Lapponia >> aggiunse Iovale.
<<Perdonatelo… è un po’ “cioto”mio nipote.>>
<<Sì, sì lo so, però tu sei un fessacchiotto…ma come! Hai avuto l’opportunità di avere avuto nostro Signore qui e gli hai chiesto solo una piccola sciocchezza. Potevi chiedergli di diventare ricco, di diventare un uomo importante, di farti vivere sino a trecento anni o altro…>>
Il contadino ascoltò con rispetto le parole dell’apostolo, poi abbozzò un sorriso ed esclamò:
<<Mah, mi basta solo quello che ho chiesto.>>
Gesù e San Pietro salutarono il contadino e Iovale e ripresero il cammino interrotto, mentre l’asino che era legato alla noria nel frattempo si era slegato e stava bevendo nella vasca, Giuseppe lo guardò stralunato e, fra sé, mormorò:
<<Ho! Dio…come avrà fatto a slegarsi dal palo dov’era attaccato?>>
<<E adesso dove vai?>> Chiese Iovale all’asino, che rispose:
<<Oggi, anch’io ho ricevuto il mio miracolo, ora andrò a trovare miei figli “Fiorello”e “Fioravanti” che non li vedo da tanto tempo>> farfugliò l’asino.
<<Gesù! Gesù! L’asino ha parlato, l’asino ha parlato con Iovale! >> così dicendo, Giuseppe cadde per terra svenuto.
Passarono i mesi e gli anni e Giuseppe, quando veniva il mese d’agosto si divertiva a burlarsi dei ladri che salivano sul fico e che invano cercavano di scendere dall’albero. A Nicola, detto “il rapinante”, che un giorno era andato a rubare i fichi, lo feci stare sull’albero per due notti e due giorni.
Trenta anni dopo. La morte lesse sul gran libro del destino le vittime che avrebbe dovuto prendere in quei giorni e fra queste c’era il nome di Giuseppe Cipolla. Di corsa si recò dal contadino vestita da mulattiere, quando giunse vicino al fico chiamò Giuseppe che aveva ormai 86 anni, mentre stava parlando con Iovale.
<<Ascolta buon uomo>> disse lei. << Mi ha comunicato il mio Signore… che devi venire subito con me.>>
Giuseppe osservò bene quel mulattiere che gli aveva messo addosso, inconsapevolmente, una certa inquietudine, dopo aver a lungo riflettuto, rispose:
<<Va bene vengo con voi, però attendetemi un attimo che prendo la giacca ed il cappello, ah… nel frattempo salite sul fico e mangiatene un po’, sono gustosissime sapete, su, salite, salite non indugiate.>>
<<Zù Peppì… avete fatto bene a farla salire sul fico… quella, arrassusia, Dio ce ne scampi e liberi è la bastarda, detta… la MORTE!>>
La morte salì sul fico e si mise a mangiare avidamente, in poco tempo divorò quasi tutti i fichi dell’albero, il contadino e Iovale invece, uscirono dalla casupola e si diressero verso la collina e tornarono tre giorni dopo. La morte, appena li vide, si mise a protestare con veemenza, ad inveire, a bestemmiare tutti i Santi del calendario:
<<Peppino Cipolla…sei un incosciente>> gridava la morte, agitando in aria l’orribile falce. << Mi hai lasciato su quest’albero per tre notti e tre giorni. Giuro che questa carognata me la pagherai cara.>>
<<Non v’arrabbiate, ora potete scendere>> disse il contadino, e continuò dicendo. <<oggi mi prendo la più gran soddisfazione di un uomo possa prendere nella sua vita.>>
<<Peppino Cipolla qual è questa soddisfazione?>> Chiese la morte.
<<Di sputare in faccia la più scellerata delle creature del mondo…la Morte. Ti sputo perché sei brutta, sei lo schifo dell’umanità perché fai vivere le persone con la costante paura della tua orribile presenza, la mia rabbia è che nessuno potrà mai ucciderti.>>
<<Ah!..Morte finalmente ti posso dire che sei una chiavica di creatura perché hai fatto morire il mio cane “Gennarino”, che ti possa azzannare in eterno brutta infame…>>gridò Iovale.
<<Tu stai zitto perché ancora non è giunto il tuo tempo, ma tu, Peppino Cipolla, uomo stolto e ignorante, tu vaneggi, ma non ti sei mai chiesto come farebbe l’umanità se io non ci fossi? Il mondo scoppierebbe perché le persone sarebbero tante che la terra non le potrebbe contenere, e per sopravvivere si ucciderebbero l’un con l’altro.
Il contadino e Iovale, nel frattempo che la morte parlava, avevano preso i manici delle zappe e appena la morte scese dall’albero, giù bastonate sulle spalle, e così il gran flagello dell’umanità, umiliata ed offesa scappò via con gli occhi accesi dall’odio e mentre se n’andava via brandiva la falce contro il vento e gridava:
<<Ah, sei fortunato che è scaduto il termine della tua morte e oggi non posso portarti con me, ma non mi sfuggirai. Scappa quanto vuoi vecchio maledetto, ma qui t’aspetterò, povero illuso nessuno potrà mai sfuggirmi, ah, ah, ah…>>
Passarono altri venti anni e la morte, consultando il gran libro del destino, s’imbatté di nuovo nel nome del contadino Giuseppe Cipolla. Subito si recò da lui per prenderselo, ma questa volta non si avvicinò alla sua casa per paura di ricevere altre botte, da lontano si mise a gridare:
<<Giuseppe Cipolla, Giuseppe Cipolla devi venire subito con me, la tua ora è suonata ormai, ah, ah, ah.>>
Il contadino, immediatamente, salì sul fico, e rispose:
<<Va bene, va bene, vengo con te, però mi devi venire a prendere tu, su, vieni, vieni, sali sull’albero.>>
<<Maledetto contadino, la tua furbizia mi manda in bestia, mah!. e pensare che con estrema facilità prendo con me magistrati, avvocati, notai, cavalieri, nobili, lestofanti, usurai, truffatori, mafiosi, presidenti, papi, cardinali, preti, operai, banchieri, re, regine, ladri e delinquenti e criminali d’ogni genere ed uno zappaterra come te mi ha fregata due volte>> così dicendo ed imprecando la morte se ne tornò indietro a mani vuote, mentre Giuseppe mangiava tranquillamente i fichi e ne mangiò tanti negli anni che seguirono, finché un giorno si stufò di vivere e chiamò lui stesso la morte.
Cataldo Amoruso
salve,
io ricordo che il personaggio si chiamava “Iogale”.
Jugali…direi…anzi diceva mio nonno….e parlava di un tontolone arguto come già descritto ma senza poteri eccezionali come ho letto….e poi considerato il dialetto è più aderente…jovale/jogale mi sembra più una traslitterazione italiana
Bellissimo racconto. Potrebbe essere proposto per la lettura dei ragazzi.