Egregia Redazione, nella mia ultima lettera mi sono permesso di esternare delle considerazioni sullo stato in cui versano alcuni siti di importanza storica, archeologica, naturalistica, o comunque di non trascurabile interesse, che insistono sul territorio di Cirò Marina. Spero di fare cosa non sgradita ritornando sull’argomento. In quella lettera da voi intitolata ‘Il degrado del patrimonio artistico cirotano’, ho volutamente evitato di parlare dei resti del Tempio di Apollo Aleo e della circostante Area Archeologica, o Parco che dir si voglia: purtroppo, allo stato attuale, non credo si possa aggiungere molto a ciò che è sotto gli occhi di chiunque voglia ‘vedere’… Ai siti di cui parlavo aggiungerei quello di Madonna d’Itria, non tanto per quel che riguarda le sue condizioni attuali, – anch’esse peraltro ‘precarie’ per stabilità geologica -, ma quanto per quel che concerne una riscoperta ‘storica’ della ‘Gghjièsa d’a Maddonna Rita’ e del culto relativo alla Sua immagine, culto che prevedeva, fino alla fine degli anni sessanta, un vero spostamento in massa di marinoti verso la collina dove sorgeva la chiesetta, entro le cui mura ci si affollava a pernottare, sfidando tra l’altro anche il pericolo di crollo del soffitto e del tetto, attraverso il quale si poteva, fuor di metafora, osservare il cielo stellato. Ritengo che questa operazione di ‘riscoperta’ sia oggi molto meno onerosa che in altri tempi, ricorrendo agli attuali mezzi multimediali. Non tralasciando, ovviamente, l’opera dell’indimenticato ‘Padre Arcangelo’: chi scrive ricorda bene quando negli anni settanta, insieme a tanti altri ragazzi ‘della Stazione’, veniva ‘sequestrato’ dall’instancabile Padre Passionista per dare una mano a sistemare nella biblioteca del santuario la congerie di libri, molti dei quali antichi. Oltre a Madonna d’Itria, vorrei ricordare il ‘Casino dei Naty’, ormai in stato di abbandono, come altri casini e masserie ormai abbandonate, tra cui quella che si può osservare dalla strada per S. Gennaro/Salvogaro (vedi foto).
Direi che una mappatura di questi siti, – e in genere di quelli legati alla presenza umana più o meno antica e comunque caratterizzante la storia e il territorio-, si renda ormai inderogabile. Anche un semplice trappeto, una vecchia cantina o un ‘cancello’ del pesce, hanno una importanza storica da non disperdere, che testimonia un percorso umano a volte doloroso, del quale si deve preservare e tramandare la memoria. Vengo ora al mio auspicio e concludo: spero che anche a Cirò Marina (e comuni vicini) qualche Istituzione o Assessorato voglia farsi promotore del recupero e del restauro di quel formidabile mezzo di comunicazione che è il dialetto. Quello che temo è che nell’ansia del passaggio dal dialetto alla lingua nazionale tanta cultura millenaria, che attraverso il dialetto si è estrinsecata, si vada perdendo, ovvero che l’uso del dialetto sia visto come qualcosa da nascondere sotto il tappeto… Così non può e non deve essere: i giovani devono avere padronanza dell’italiano, come è giusto che sia, perché rinunciando al dialetto getterebbero alle ortiche un patrimonio ‘spontaneo’ di tutto rispetto, un segno distintivo non da poco. Buoni esempi se ne trovano tanti, anche in rete: tra tanti segnalo una ottima tesi di laurea che tratta del dialetto di Roccella Jonica e un Vocabolario del Dialetto Mesorachese, a firma rispettivamente di Marisa Guarnieri e di Maurizio Capocchiano, persone che non ho il piacere di conoscere ma alle quali va, come calabrese, il mio ringraziamento. Credo che qualcosa del genere si possa fare anche da parte dei cultori del dialetto e della storia locale del cirotano, mai sottraendosi, però, a quella che con termine troppo abusato si definisce ‘onestà intellettuale’, e questo lo dico perché profondamente deluso dalle notizie assolutamente errate che ho potuto trovare su un sito istituzionale locale che addirittura è riuscito a confondere alcuni comuni e l’ubicazione di palazzi storici che i turisti dovrebbero visitare… ammesso che li trovino! Intanto, come punto di partenza si potrebbe forse cominciare ad organizzare una ‘bibliografia’ di quanto scritto sulla nostra storia locale, almeno credo.
Cataldo Antonio Amoruso
da Piacenza