“Faccio incontro da anni in Italia, in Europa e raramente mi sono emozionato come oggi. Oggi, è stato un tuffo nella mia infanzia”. Con queste parole, lo scrittore Carmine Abate, ha salutato gli alunni della scuola primaria del centro arbereshe, nel corso di un incontro svoltosi lo scorso mercoledì 21 novembre. Ad accogliere il vincitore dell’ultimo Premio Campiello, gli scolari delle pluriclasse 2 e 3 e 4/5, il corpo docente composto dalle maestre, Marianna Leonetti, Eugenia De Biasi, Maria Grazia Chiarello, Pina Ferraro, Rosa Petrungaro, un gruppo di genitori e la chitarra di Battista Spadafora. Al romanziare, gli allievi hanno regalato, balli e canti della tradizione arbereshe, fiori di carta contenenti pensieri e domande appositamente preparati da loro, disegni, quadri e dolci. “Siamo contenti che tu sia venuto a trovare gli alunni e porgere loro un saluto”, ha detto l’insegnate Leonetti rivolgendosi ad Abate. Per l’autore è stata una giornata emozionate: ha ripercorso la sua infanzia vissuta a Carfizzi, il primo giorno di scuola, i suoi primi passi da scrittore.
“Quando avevo la vostra età, non avevo libri – ha raccontato ai piccoli studenti -, avevo solo il libro di scuola, il Sussidiario. La mia era una famiglia di contadini e quindi non c’erano libri di lettura o romanzi, però, avevo chi mi raccontava le storie”. “Sono diventato scrittore – ha proseguito – perché ho saputo ascoltare. Andavo dallo ‘scarparo’, che aveva una piccola stanza al Palacco, dove c’erano due panche, da una parte si sedevano sempre tre vecchi, e dall’altra i bambini; lì ero fisso, ascoltavo le storie di questi contadini a bocca aperta, come se le mangiassi”. Da quelle storie di bottega, è partito per diventare scrittore, lo è diventato “grazie ai contadini, alla gente semplice”. “Le storie più belle – ha continuato Abate rispondendo alle domande – però, me le ha raccontato mia nonna, ‘momma po’. All’età di 16 anni, mi cantava le rapsodie in arbereshe, raccontava lo sbarco degli arbereshe in Calabria e la nascita di Carfizzi”. A termine della visita, lo scrittore, ha invitato gli alunni a conservare la tradizione della lingua parlata ed essere orgogliosi della loro cultura. “Ho capito perchè i nostri genitori hanno continuato a parlarci in arbereshe: perchè sapevano che se perdevano la loro lingua perdevano loro stessi”.