“Finalmente ho ricevuto dalla guida accreditata Albanese una risposta certa in merito alla pavimentazione custodita nella chiesetta ortodossa di Beerat“. Esordisce così, con il suo comunicato, Salvatore Costa, da tempo impegnato in merito alla pavimentazione del Castello di Cirò. “Nel fornirti alcuni dati che ho ricevuto e che riporto integralmente, continua, ribadisco con forza che stiamo perdendo tempo prezioso in merito al riconoscimento che potrebbe avere a livello culturale la pavimentazione del castello di Cirò”. “Penso che all’epoca della costruzione e non solo sussisteva una stratificazione culturale di tipo orale ed in questi casi scritta o costruita, che purtroppo non è arrivata fini a noi o forse che in pochi conoscono a seguito di un incrocio di testi e studi molto complessi dal punto di vista della ricerca” a parte ciò, riportiamo quanto dallo stesso ricevuto da parte della guida di Berati, in Albania. “Buongiorno Salvatore, ho visto la foto e si tratta del mosaico del pavimento della chiesa dell’assunzione di Santa Maria, l’ex cattedrale del castello di Berati. Era la chiesa più decorata e allestita durante il XVIII secolo dentro il castello e nel XIX era anche la sede del Metropolita, vescovo di Berati. Il mosaico rappresenta il centro della chiesa e secondo me è un’imitazione di un calendario solare, perche i fori della cupola non corrispondano con il mosaico. Il primo cerchio ha 31 triangoli, il secondo 12 pietre che formano il secondo cerchio e in centro si trova la pietra esagonale (sei angoli). Sull’ultimo cerchio dove ci sono i sassolini con pezzi di mattoni si formano due triangoli sovrapposti tra di loro e da l’impressione della stella di Davide. La stella di Davide è molta diffusa a Berati non solo sulle chiese ma anche nel culto islamico”. Il messaggio si firma, Elton Xheka. Credo così, conclude Costa, di contribuire positivamente a ravvivare il dibattito e gli studi.
Caro sig. Marco Perri, almeno chi legge standosene con il mouse nelle mani si informa e studia, prima di sparare fonti che non esistono.
siamo tutti bravi a criticare…almeno il signor costa indaga cerca di portare alla luce e/o far conoscere i misteri del nostro territorio…voi statevene con le mani sul mouse a leggere cosa fa la gente x il nostro territorio
Ah!, quanto sempre più diffusi sono gli storici che fanno la storia “immaginando”, specialmente oggi, sospinti sull’onda dell’immaginazione non da Zefiro o Borea, bensì dall’illusionistico potere di quel recente spot televisivo, per il tramite del quale un sex-symbol del cinema americano insinua suadente “Immagina, puoi”. Io sono invece rimasto fedele all’insegnamento ricevuto da un Principe “decaduto” del mio asperrimo montefeltro, il quale, nel suo palazzo abbastanza diruto e sbrecciato, si riparava sotto una tenda militare quando pioveva a dirotto, senza mai perdere d’occhio la magra contabilità derivante da agnelli e porci, da formaggi e caciotte che gli permettevano di trascorrere le vacanze di Natale e di Pasqua a Roma ospite dell’Excelsior: noblesse oblige! Orbene, quel Principe del S. R. I. pervenuto sino a questi nostri tempi, dall’alto dei suoi 900 anni di storia che gli scorrevano nelle vene, visitando insieme a me la porcilaia di un suo ex-mezzadro, mi ha detto:”Professore, ma Lei glielo dice ai suoi alunni che son bubbole quelle favole tutte danze e madrigali, mentre invece le castellane e le nobildonne del Medio Evo si recavano nel pollaio del castello a tastare il culo delle galline?” Ecco cos’è la forza del documento, che ristabilisce sempre la necessaria verità storica! Quel toccare il culo delle galline, non solo rende economicamente operose le antiche castellane, ma fa anche comprendere che la storia si avvale del toccar con mano il documento, metaforicamente rappresentato dal “toccare il culo della gallina”: un atto che faceva capire alle massaie quendo la bestiola avrebbe deposto l’uovo… e il ricercatore avrebbe scritto una storia seria.
Condivido perfettamente prof. Mussuto : nella sua tesi a difesa delle “ragioni” dell’ottimo arch. Costa, lei è stato, come sempre, puntuale e coinvolgente. Strane sono alcune risposte a riguardo delle ipotesi di Costa; definitivo e chiaro il suo novellare Albrecht Durer (non so come si scrive la u con la dieresi) : “Renderò pubblico quel poco che ho appreso affinché qualcuno, di me più esperto, possa suggerire il vero e con la sua opera dimostri e condanni il mio errore; così potrò rallegrarmi, almeno, di essere stato strumento cui la verità è giunta alla luce”. Bravo prof. Mussuto. Galilei scrutava il cielo – lo osservava – ed il “fermati o sole …” proferito da Giosuè (prevalente quasi come dogma) lo aiutò nella sua “sperimentazione” definitiva del geocentrismo e dell’eliocentrismo.
Lei mi insegna che la storia è costellata di fatti-atti infondati, sostenuti per millenni come veri. Il fatto, poi, che una moltitudine veda o solo dice di vedere uno stormo di aquile volare, non vuol dire che le aquile esistano veramente. Chi ci dice che la verità è tutta dalla parte dei più?
Rigore e metodo scientifico sono essenziali quando si conducono ricerche. Se mancano, il lettore deve avere la facoltà di discernere. Ma nonostante ciò credo che la personale ricerca del Costa sia da apprezzare per il semplice fatto che aggiunge un’aura di curiosità alla storia di Cirò. Se volessimo applicare il metodo scientifico in maniera pedissequa anche alla storia di San Francesco di Assisi credo che si creerebbe un danno economico per una regione intera, oltre che buttare fango sul Santo. Prendiamo spunto per costruire un business anche nel nostro paesello come avviene in altre parti di Italia. Ma, per favore, mettiamo il rigore metodologico da parte: la ricerca scientifica è una cosa seria e non sempre è necessario applicarla. Oppure, se non è possibile farne a meno, mettiamola sul piano della revisione narrativa in cui prevale la tesi oggettiva dell’autore.
Il ricamo di pietra: da Luigi Lilio alla besciamella
Temporibus illis, nelle chiese di Firenze, a turno, per quaranta ore consecutive, venivano officiate delle funzioni religiose, particolarmente sentite, durante le quali si esponeva all’adorazione dei fedeli il Santissimo Sacramento, tra un tripudio di fiori, candele e addobbi purpurei. Proprio nel mentre di una di queste liturgie, dette delle Quarantore, nella piccola ma antichissima chiesa fiorentina dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, stipata fino all’inverosimile, mentre il parroco guidava ispirato la preghiera dei fedeli assorti e assopiti, si sentì schioccare nell’aria, pesante di mille fiati ed afrori, un solenne ceffone.
Si voltarono tutti verso il fonte battesimale. Lì, in piedi, elegante stava un messere, alto e paonazzo per la vergogna e per la veemente manata assestatagli in viso. Proprio davanti a lui, quasi appiccicata per via della ressa, una popolana sdegnata lo fulminava con lo sguardo di brace. L’uomo cercò di giustificarsi incolpando la calca, balbettò qualche parola e poi con flebile soffio: “… è per via delle Quarantore…”. Fulminea e salace la risposta della donna: “ma che c’entra il mio culo con le Quarantore!»
Già, cosa c’entra? Me lo chiedo ora, dopo le avvincenti rivelazioni della «guida accreditata Albanese … in merito alla pavimentazione custodita nella chiesetta ortodossa di Beerat», così come me lo sono chiesto il 25 marzo 2011, nel frangente di un’altra delle scoperte dell’architetto Salvatore Costa, il quale proprio allora rivelò al mondo che, «nel 2008, quando ripulì con gli alunni della scuola media di Cirò il pavimento dell’atrio del castello, nel terzo cerchio vennero alla luce altri due numeri, assimilabili al 5 e all’1 …» .
Della chiesetta albanese non voglio parlare, perché la notizia è forte ed ha bisogno di essere meditata, e poi perché altri più autorevolmente hanno già espresso a caldo il loro parere, ma della precedente rivelazione del Costa si dovrà pur dire qualcosa.
Trovare scolpiti due segni assimilabili a numeri: un 1 ed un 5, ma solo se si leggono in senso antiorario, ricondurli ad un anno ben preciso, il 1651, e da lì costituire una relazione con l’Almagestum novum, astronomiam veterem novamque complectens, pubblicato dal gesuita ferrarese Giovanni Battista Riccioli in quell’anno, è un’ipotesi piuttosto peregrina, come peregrino è colui che poi pubblica la notizia sui giornali, per tacere dei fantomatici esperti bibliotecari romani interessati a queste lunari allegrezze. Riguardo alla mappa della luna, occorre subito precisare che essa non fu disegnata dal Riccioli bensì dal suo allievo, Francesco Maria Grimaldi; tuttavia per sapere questo non c’è bisogno di aver condotto studi approfonditi, basterà andare su Wikipedia, dove, detto per inciso, si troverà che la citazione dell’opera nel virgolettato dell’articolo apparso su Il Quotidiano è presa pari pari da lì.
Nel 1651 furono pubblicati, come accade ogni anno di ogni secolo, numerosi libri. Tanto per restare in ambito esoterico, a Parigi, ad esempio, fu pubblicata la versione francese dell’Enchiridion physicae restitutae di Paolo Zacchia, che si riconduce ad obsolete dottrine neoplatoniche ed alchemiche. Sempre nel 1651 uscì il giustamente famoso Leviathan di Hobbes. E poi: il libro nono dei madrigali di Monteverdi; il De generatione animalium di William di Harvey; il Rerum Medicarum novae Hispaniae thesaurus. Addirittura in quell’anno fu pubblicato pure, naturalmente postumo, il Trattato della pitturadi Leonardo da Vinci. Potrei continuare, ma questi titoli bastano a spiegare che non si può stabilire un nesso di discendenza così, per prossimità temporale o, per dire più chiaramente, a casaccio tra due numeri e un libro, poiché, ed è un’ovvietà dirlo, ciò dovrebbe valere per ogn’uno di loro e dei moltissimi altri libri non citati. Per esempio, perché la pavimentazione del castello cirotano non dovrebbe rappresentare la struttura molecolare della besciamella, visto che nel 1651 fu pure pubblicato Le cuisinier français, dove si apprende l’origine del nome della besciamella? Connessioni analogiche! Così deduce il singolare ragionare di Costa: trasforma due numeri in una data, con la quale poi richiama un’opera importante di astronomia, sui cui cardini, infine, fa posare il tracciato di una misteriosa pavimentazione di un castello appollaiato su di un cucuzzolo di un polveroso e malagevole capo del Bruzio – praticamente in pertugium asini. Da chi? Non si sa. Quando? Ancora meno. Da Lilio a Riccioli o Grimaldi: ingloriosa parabola di un ex enigmatico acciottolato forse settecentesco.
Prima di enfatizzare opinabilissime congetture, Costa dovrebbe fare lo sforzo di cercare senz’altro i documenti o, se ciò non gli fosse possibile, almeno stabilire la fortuna in Calabria del trattato del Riccioli a partire immediatamente dalla data della sua pubblicazione, perché, una cosa è certa, se si seguisse con logica stringente la sua opinione, si dovrebbe concludere che quella siderea fatica è stata letta e applicata sincronicamente alla posa dell’opera pavimentaria cirotana, cioè nel medesimo anno 1651, altrimenti non si giustificherebbe quell’impronta temporale. Da Bologna a Cirò con velocità eccessiva rispetto ai tempi. Ma la conseguenza logica è del tutto marginale, poiché, come viene detto e creduto, il pavimento è settecentesco mentre l’Almagestum novum è del 1651; il che calza a fagiuolo! O meglio, c’entra come il culo con le Quarantore!
Caro collega Architetto Costa, mi fa piacere che si venga a creare vivace dibattito nella nostra storia cirotana. Ci hanno insegnato all’università, che bisogna avere tanti dubbi per ritrovare le certezze, abbiamo studiato una parte delle vicende michelangelesche per arrivare a capire quanto grande era il suo genio, lo abbiamo scoperto però grazie ai suoi scritti, alle sue opere pervenuti finora, insomma tutto documentato. Ebbene, per arrivare a dare delle certezze non bastano congetture, ipotesi o dimostrazioni empirici, come mi è capitato di sentire tue conclusioni in sonnolenti convegni con le seguenti frasi:é un caso che il mosaico di pietra, nel castello sembra essere disegnato secondo il simbolo matematico dell’infinito?. Lo devi dimostrare, caro collega, con fonti, è questo che ci hanno insegnato all’università. Mi aspetto pertanto futuri convegni, non rabbiosi e sconclusionati ma definiti da “certezze”, possibilmente letterarie, altrimenti preferisco guardarmi le puntate di Voyager, almeno mi faccio due risate.
Mi complimento con l’Arch. Costa per la tenacia e la passione professionale che sta mettendo in campo per capire l’enigma della pavimentazione del cortile del Castello di Cirò. Quest’ultima similitudine ritrovata nella chiesa ortodossa di Berat sta a dimostrare quanto importante sia la ricerca della verità, (e l’arch. Costa va in questa direzione) che, senza prove documentali,a nessuno è dato il potere di ostacolarne il percorso.
“Renderò pubblico quel poco che ho appreso affinchè qualcuno, di me più esperto, possa suggerire il vero e con la sua opera dimostri e condanni il mio errore; così potrò rallegrarmi, almeno, di essere stato strumento cui la verità è giunta alla luce” (Albrecht Durer), da Il Monumento Misterioso, op. cit., pag. 2.
Chi ritiene di possedere la verità, dimostra di non sapere nulla. Lungo i secoli l’uomo ha prodotto grandi cose partendo dal “dubbio”. Senza un perché la ricerca non avrebbe raggiunto i traguardi che ci sono stati fino ad oggi; con ciò intendo dire che non si deve mistificare la verità già acclarata perchè scientificamente provata, testata, vagliata, “ Il santo vero mai non tradir, nè proferir parola che plauda al vizio o la virtù derida.” Alessandro Manzoni, dal Carme “In morte di Carlo Imbonati”, 1805-06.
La scienza non deve soffocare, ma promuovere ricerca. La storia ce lo insegna! Saranno poi i critici a dare un giudizio. E il giudizio della storia è la cartina al tornasole che suggella la verità.
All’Arch. Costa lui va un ringraziamento per aver aperto questo dibattito.
il mistero accresce il desiderio della scoperta…continua così architetto
Apprezzo molto il lavoro di ricerca nonché la tenacia e l’entusiasmo dell’architetto Costa nel voler valorizzare la bellissima ed enigmatica pavimentazione del castello di Cirò. Nonostante ciò non condivido affatto il reiterato tentativo di attribuire quel disegno alla mano di Luigi Lilio. Di disegni simili in piazze e castelli d’Europa ce ne sono molti e non è la prima volta che, più semplicemente delle normali rose dei venti o puri disegni geometrici stesi sull’acciottolato con intenti schiettamente ornamentali, vengano scambiati per calendari solari. Posso concedere, a titolo di abbuono, un richiamo ad una a me sconosciuta Margarita Filosofica.
Spettacolari interpretazioni pur espresse in modo apodittico, spesso, sotto la giusta invocazione di verifiche rigorose, sprofondano secondo giustizia nel campo delle ipotesi fantastiche, anche laddove non si accolga la slealtà verso l’oggetto dello studio. Qualsivoglia ricerca, condotta senza il necessario rapporto con le imprescindibili fonti documentarie, storico e scientifiche, non diviene quasi mai un’utile enumerazione di indizi per il disvelamento di un enigma, ma finisce penosamente per schermare di mistero ciò che misterioso affatto non è.
In primis i più sinceri complimenti, ed un Auguro nel continuare a studiare questa importante e fondamentale pagina della nostra storia, a cui tutti noi, oggi ne dovremmo essere grati. La storia è una nostra risorsa e come tale deve essere rivalorizzata, in particolare in questo momento di crisi economica mondiale! un grosso in bocca al lupo!