Francesco Manente fa parte di Alcuni personaggi che restano appesi e conservati nello scrigno della memoria e restano nel tempo come icone, tra i ricordi stabili e belli che una vita alterna, ma che non cancella. Correva l’anno 1983, era il mese di luglio inoltrato, io, con il gruppo musicale i “Ciros” stavamo preparando la “Rampa”, grande manifestazione musicale, (gara di cantanti con giuria), che si svolgeva sulla spiaggia di Cirò Marina, dove affluivano da 10 a 15 mila persone. Per un avvenimento così importante ed impegnativo c’era un via vai di cantanti dilettanti che provavano le loro canzoni fra emozioni, stonature, delusioni per essere esclusi e rivoli di sudore. Quello anno doveva venire a Cirò Mariana Donatella Rettore. Occorreva preparasi bene per l’evento. Le prove si facevano nel cinema Moderno, comunemente chiamato “u cinema e Russo”, il caldo e l’afa imperversavano con furore. La sonorità degli strumenti amplificati, in quella struttura priva di una coibentazione specifica di pannelli acustici, ci rimbambiva. Il giorno, prima del debutto, era il 3 agosto, facemmo una pausa e sul palchetto salì un gruppo capeggiato dai Crucolesi Fancesco Manente e la sorella Maria Giovanna e altri musicisti, che non erano del luogo. Io restai nel cinema ad ascoltare la loro musica che era diversa della nostra, ma quello che mi colpì molto fu la loro bravura e le canzoni folcloristiche che eseguivano. Avevo fatto la scelta giusta, i Manente mi piacevano e quando attaccarono, su un accordo in minore, la canzone “Luna Lunella” restai estasiato. Quello arpeggio perpetuo, quella melodia evocante. Quel coro struggente e nostalgico invasero come un sottile fluido magico la mia anima. Ricordo che stavo scrivendo per il teatro il dramma “Il Conte di Melissa”. Ritorniamo al gruppo Manente, ascoltai con interesse le canzoni eseguite con provata bravura sia nel canto sia nella parte strumentale. Alla fine delle prove mi complimentai con Francesco e affermai che ero rimasto affascinato della canzone Luna Lunella e incominciai a pensare di inserirla nel dramma che stavo scrivendo. Il giorno, prima del debutto della manifestazione “La Rampa”, esplicitai a Francesco che avrei inserito la sua canzone nel dramma teatrale “Il Conte di Melissa”. Ricordo la sua stupita espressione quando gli dissi: “Ti fa piacere se la tua canzone sarà cantata dalla nostra brava Memi Golino?” all’epoca attrice e cantante, lui mi rispose – “Certo che mi fa piacere poiché ogni atto creativo di un autore ha come fine il pubblico, noi cantiamo e componiamo per la gente”.
Manente incise un 33 giri con varie canzoni fra le quali “ C’era nu pisciu ca volia” e la famosa Luna Lunella, per reperire la canzone se ne occupò il compianto Luigi Parrilla, che con entusiasmo ce la fece ascoltare dopo di ché fu inserita nell’opera teatrale. Quella melodia così malinconica e toccante faceva da sottofondo in una scena molto suggestiva e drammatica che affascinava in particolar modo il pubblico, creando un afflato d’empatia da rasentare la commozione. Così ricordo Francesco Manente. Poi qualche anno dopo leggevo sui giornali che era diventato un regista che Raffaella Carrà inviava per le riprese esterne nelle sue trasmissioni. Lessi che partecipava al Cantagiro, a trasmissioni come “Furore, ” condotta da Alesando Greco, “Orecchiocchio”. I Manente erano una famiglia di musicisti, un suo antenato, non so se era suo nonno, negli anni quaranta – cinquanta dirigeva la banda di Cirò Superiore, musicista rigoroso e preciso, però la moglie non era da meno, aveva un orecchio sbalorditivo. Un giorno disse al marito, – “Ma non te ne sei accorto che nella marcia “Parata d’eroi” la tromba invece del “Re” bemolle a messo il “Re” naturale?” Da ciò si evince che l’attitudine e il talento musicale nella famiglia Manente sono un emblema di razza, che viene da lontano. Concludo. Mi complimento con la Signora Virginia Marasco, con Giuseppe Pipita e tutti coloro che hanno partecipato e creato il Gran Premio Francesco Manente così si valorizza la memoria di un giovane artista nato sotto una maligna stella, che un destino implacabile e crudele ha tarpato le ali prematuramente.
Cataldo Amoruso