“Negli anni Settanta io e Nicodemo Malena, l’autore del romanzo “Il tramonto del Boss”, eravamo impegnati a comporre arrangiamenti musicali di alcune canzoni che poi portavamo a Milano e che il più delle volte, ci venivano “rubati” da cantanti. Avevamo fondato il gruppo musicale “I Ciros” insieme all’altro Nicodemo Malena, Cataldo De Bartolo, Sasà Molinari. Verso la fine degli anni settanta Nicodemo mi propose di scrivere insieme una commedia. Lui aveva già in mente il soggetto e così nacque “U Cummito” un’opera ormai nota, più volte rappresentata dalla compagnia teatrale Krimisa. Cominciò così una fruttuosa collaborazione che portò alla stesura della sceneggiatura de “Il Mistero di Giulia Capellieri”, che per mancanza di appoggi politici non divenne mai una fiction televisiva. Successivamente scrivemmo la sceneggiatura per un film. “Peppe Filazzola storia d’amore e di lavoro” e infine la commedia “In casa Cantamissa”. Dopodiché io continuai a scrivere e Nicodemo, pur essendo un bravo scrittore, dotato di una fervida fantasia, si fermò. Negli anni ottanta, però, scrisse “Il Tramonto del boss”, ma sola ora ha deciso di pubblicarlo per i tipi di Sa Editrice. Un libro che ho letto con molto piacere, è ben scritto, perché ha messo il cuore alla penna che ha intinto nel calamaio di una piacevole nostalgia, descrivendo con dovizia di particolare i luoghi della memoria che evoca benissimo. Il paese dove si è nati, dove si è vissuti, dove si conservano in uno scrigno ricordi e segreti d’infanzia, il paese che gli uomini hanno riempito di gioie, di tristezze e di amicizie, di rancori, di odio, e di dolori, di canti di miserie e di pianti, di amori appena nati, di amori appassiti, di amori mai finiti, di vendette, di faide, d’invidie, di gelosie e di rabbia represse nei pugni chiusi nelle tasche rotte… ma questa è la vita.
La storia incomincia negli anni drammatici del dopoguerra, in questo microcosmo di mondo, troviamo un nugolo di ragazzini che Malena ci descrive: “dalle mani sporche e le unghie nere di terriccio, le facce imbrattate di fango, alcuni scalzi, altri con scarpe rese informi e senza lacci. Vestiti con abiti di taglia troppo stretta o troppa larga, pantaloni, camicie e maglioni comprate con poche lire al mercatino dell’usato di Vincenzo “U Napulitanu”, le donne li chiamavano “Zinzuli”. In queste prime descrizioni già c’inoltriamo nella tragica scenografia delle ferite ancora aperte, nella miseria, nei lutti, negli abbandoni e nelle angustie che ci aveva lasciato la guerra del Quaranta. Seguiamo questi ragazzini e li vediamo che giocano alla “Prozzula”, o ad un pallone fatto di pezze arrotolate e legate con uno spago, o fatto con le calze delle donne appese al filo, dopo essere state lavate, che spesso rubavano. I ragazzini giocavano a nascondino, al Campo francese, a Zumpa Cavaddu, alla mazza fionda, Ara Petra. I giocattoli erano inesistenti e ognuno si impegnava con la fantasia a costruire il proprio giocattolo personale preferito. In questo gruppo di ragazzi emerge “Antonio Santangelo, che tutti chiamano affettuosamente Ninuzzo, questo “ragazzino” pur avendo la stessa età degli altri, è smilzo, gracile, in netto contrasto con i suoi compagni di giuochi, però a dispetto della sua corporatura, mostra carattere fermo e risoluto. Malena descrive il vicolo “A Ruga” con donne irascibili e volitive che litigavano spesso per un nonnulla, donne che sventolavano i bracieri per arrostire le sarde. Uomini dai volti smunti che l’opera rovinosa del tempo precipitava verso una vecchiaia precoce. L’autore è bravo nel descrivere il mondo dei pescatori che tornano la mattina stanchi di strapazzi, “volti di uomini dai lineamenti induriti dalla salsedine e dal sole, assonnati e rassegnati a quella vita di stenti, e si riconosce zù Giovanni Malena (il padre dello scrittore) con la classica coppola sulla testa, accanto all’inseparabile fraterno amico zù Damiano Carelli, in piedi nel suo Colleoni, un gozzo di legno di pochi metri, che si apprestava a spegnere la lampara, quel lume compagno di una vita e fidato amico di notti interminabili di un’esistenza trascorsa in mare”. Ci racconta che “in quei vicoli vi fu un periodo, infatti, che non vi era giorno che non accadesse che una Madonna piangesse, in una casa e un Cristo sanguinasse in un’altra, e tutti che gridavano miracolo, miracolo. Alla fine si scoprì che dietro quegli eventi miracolosi, pur se così straordinariamente architettati, vi era l’abile mano dell’uomo”. Intanto, Ninuzzo con la combriccola di ragazzini, un giorno prese di mira dei vasi di basilico e di peperoncino dell’anziana zà Tetè e li frantumarono tutti. Il fattaccio però non restò impunito, a zà Tetè aveva un nipote, Carmelo, un giovane alto e grosso, che faceva il contadino, questi non impiegò molto a scoprire che i vasi della zia erano stati distrutti da Ninuzzo e la sua combriccola, e così che Carmelo incontrò i ragazzi, se la prese con Ninuzzo picchiandolo forte, quest’ultimo cavò dalla tasca un piccolo coltello e glielo infilò nella pancia. Con questo atto criminoso compiuto da ragazzino incomincia la nuova metamorfosi della sua vita. Con quella coltellata aveva infranto la legge e chi infrange la legge gli resta dentro un marchio di fuoco che non si cancella mai. E più avanti nel romanzo si nota già l’idiosincrasia di chi ha infranto la legge e di chi, con una divisa, cerca di farla rispettare, così i carabinieri diventano “Sbirri”. Nasce una sorta di odio latente che sa di disprezzo e di sfida, ma per chi decide di diventare un picciotto avere a che fare con i carabinieri o con la galera, acquista punti di merito. Passano gli anni e Ninuzzo incomincia a vestire bene, con abiti cuciti da mastro Ciccio Saltarelli. La sartoria era un piccolo tempio di piccoli intrighi, di pettegolezzi, di scherzi e di sfottò irridenti, poiché la natura umana è sempre pronta a ridere sui guai altrui e strumentalizzarli per il proprio inconfessato piacere. Si parlava anche di sport, ma l’argomento preferito era la musica e il teatro, erano gli anni dei cantanti come, Consolini, Latilla, Togliani, Nilla Pizzi, là conveniva anche il Capo Mezzotero e il fratello Gaetano, per prendere spunti per le nuove gag comiche; c’era il cantante Nino Malena, che sottovoce cantava “ Passione tra gli ulivi” una canzone di Claudio Villa. Il lavorante Gino Cosenza cantava “Erba di mare”, mentre Cataldo Parrotta, molto ispirato, eseguiva col suo violino “Malinconico Autunno” canzone cantata da Carla Boni e che aveva vinto il festival di San Remo del 1953. Il tempo passa e Antonio Santangelo, detto Ninuzzo, che negli anni aveva già sviluppato una mentalità mafiosa, impara a memoria “il Codice segreto della Ndrangheta”, viene battezzato, seguendo una ritualità consistente nello sciorinare regole sociali, una sorta di esame che il Capo bastone, dopo aver battezzato il luogo, verifica se il futuro picciotto è ben affavellato, e sa tirare di coltello Alla fine il picciotto s’impegna solennemente col giurare di dare la sua vita ed il suo sangue per l’Onorata Società. Malena mette a fuoco anche un argomento molto attuale (Le donne nella Ndrangheta, Vedi il caso della Garofalo). Descrive il tradimento di Marianna, donna di sani principi, moglie del boss don Francesco Cordula che tradisce il marito con un giovane forestiero che vendeva calze. Atto gravissimo nella Ndrangheta che si paga col sangue.
Qui il romanzo mette sempre più a fuoco l’immagine di Ninuzzo, che da piccolo ladro a picciotto, da picciotto a boss incomincia a parlare con personaggi della politica, dove inesorabilmente si stringono i patti per il voto di scambio, “io ti affido la costruzione di una strada che non porta da nessuna parte, o di una grande chiesa in un minuscolo paese e tu mi porti i voti”, – “ io ti porto i voti e tu cerchi di mitigare le leggi in nostro favore”, pratica ancora oggi fortemente in uso, e finché non cesseranno questi patti la mafia durerà sempre. A questo punto consiglio i lettori di leggere il romanzo. Un romanzo che fa capire come la mafia, primo che atto pratico, è mentalità. Ometto la parte più bella dell’opera che è il finale. E chiedo a Nicodemo Malena, ma perché non hai continuato a scrivere? Puoi ancora farlo perché non è mai troppo tardi per andare più oltre. A voi lettori invece dico, che Il Tramonto del boss” è un romanzo che avvince e convince”.
Recensione di Cataldo Amoruso