CROTONE – “La Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU) dell’amministrazione Provinciale di Crotone intende richiamare l’attenzione di tutti i lavoratori del pubblico impiego al proprio senso di appartenenza ed all’unità della categoria, per fare sentire la propria voce nei confronti delle recenti proposte del Governo Italiano in tema di “Spending rewiew”, che ancora una volta puntano il dito direttamente nei confronti del lavoro pubblico. Pur essendo consapevoli della necessità di una riforma della pubblica amministrazione, che passi anche attraverso una rivisitazione della spesa pubblica – dichiarano in una nota Vincenzo Malacari, Giuseppe Suranna e Beniamino Noce – riteniamo tuttavia doveroso dire la nostra affinché la parola razionalizzazione possa coniugarsi con i termini di equità e giustizia. Non ci pare vero infatti che, dopo aver subito il congelamento degli stipendi per tre anni (stipendi, peraltro, tra i più bassi d’Europa), da più parti vengano prospettate ulteriori misure di contenimento, quali: il possibile blocco della tredicesima e del turn over, la riduzione del valore dei buoni pasto, il taglio del 5% all’organico di tutti gli enti ..senza parlare, poi, delle continue esternazioni del Ministro Fornero sui licenziamenti. Per i tecnici del Governo fare quadrare i conti dello Stato è diventato probabilmente una mera “endiadi contabile”. Per cui: o si agisce sulle entrate, nel difficile tentativo di incrementarle, oppure più semplicemente si tagliano le spese. Come dire: tanto alla fine il risultato non cambia ! Ora, se dal punto di vista matematico un simile ragionamento non fa una grinza, dal punto di vista sostanziale esso cozza con i principi costituzionali di solidarietà sociale e di uguaglianza sostanziale, che stanno alla base dell’inderogabile dovere per ogni cittadino di contribuire, in relazione alle proprie sostanze, alla costruzione di un Stato Sociale. Non solo ma, dopo una “crociata” mediatica contro i dipendenti pubblici, rei di soffrire di un “fannullonismo” cronico, si ha la pretesa che, per amor di patria, siano proprio questi a dover patire il sacrificio. E non già, come dovrebbe essere, gli evasori o i più ricchi. E questo dovrebbe chiamarsi rigore ed equità! Sulla questione dell’abrogazione e/o accorpamento delle province, vale la pena di spendere due parole, non fosse altro perché offende l’intelligenza di tutti chi, pur con il meritorio intento di economizzare, sostiene l’eliminazione di un Ente intermedio nell’organizzazione di uno Stato senza proporre un Ente o un servizio sostitutivo. Non è accettabile, infatti, limitarsi alla demagogica richiesta di una maggiore economia senza presentare un dettagliato elenco delle inutilità (servizi duplicati e altro) e senza credibili proposte di sostituzione dei servizi oggi esistenti. Se poi non s’intenda sostituire i servizi ma eliminarli, allora dovremmo onestamente dichiarare che si punta a risparmiare semplicemente privando i cittadini di alcuni servizi senza illudere che sia possibile dare un servizio a costo zero. Nei grandi Stati europei (Inghilterra, Francia, Spagna, Germania) esistono (come in Italia) tra Stato e Comuni, due enti amministrativi intermedi equivalenti a Regioni e Province e questa struttura consente un corretto funzionamento della pubblica amministrazione. In questi Paesi le strutture equivalenti alle nostre Province hanno un numero medio di abitanti simile al nostro.
I motivi delle disfunzioni e degli elevati costi gestionali del nostro Paese, pertanto, non possono ragionevolmente essere attribuiti alla presenza delle Province bensì alle anomalie della nostra amministrazione pubblica oppressa da indebiti interessi, spesso non corrispondenti con il bene collettivo. Per le stesse ragioni, non convince altresì la recente proposta dell’UPI di ridimensionamento delle attuali province, attraverso un loro accorpamento. Non convince, poiché non solo non tiene assolutamente conto delle diverse peculiarità territoriali, ma anche perché riverserebbe sui cittadini il costo di tale operazione. Si lascia all’immaginazione di ognuno cosa potrebbe significare, in termini di tempo e di costi, per un abitante di Crucoli oppure di Tropea dover recarsi a Catanzaro per sbrigare una pratica. Non parliamo poi dei disservizi che i cittadini subirebbero a seguito dell’inevitabile ridimensionamento di tutti gli altri uffici statali periferici. In parole povere: una salto nel passato di almeno trent’ anni! Si rimette quindi al semplice buon senso il giudizio sulla credibilità di chi propone l’eliminazione delle province ovvero di un loro accorpamento senza dimostrarci la possibilità di caricare su altri, con minor costi, le funzioni attualmente provinciali. L’eventuale soppressione delle Province – se si vorrà continuare a dare ai cittadini almeno gli stessi servizi di oggi – farà crescere quanto meno nuovi uffici (comunali, regionali o addirittura statali), che andranno a sostituire quelli eliminati senza evidentemente portare alcun vantaggio economico ma, anzi, complicando le procedure e aggravando i costi. Di converso, nel caso in cui s’intende accorpare le province, allora aumenteranno le dotazioni organiche di quelle rimaste in piedi, a meno che il fine ultimo non sia quello di mandare a casa migliaia di lavoratori. In conclusione, contro i tagli annunciati chiediamo a l’intera classe politica calabrese, senza alcuna distinzione di sorta, di assumere una posizione chiara tesa a salvaguardare non solo i livelli occupazionali, ma anche le attuali cinque province della Calabria. Ai dipendenti pubblici della Calabria chiediamo, invece, di mobilitarsi, oltre che di fare rete. E’ infatti necessario che i lavoratori del pubblico impiego facciano fronte comune perché ciò che ci si presenta davanti è un nemico comune che va affrontato mettendo da parte le piccole questione ma avendo di fronte un obiettivo di respiro molto più ampio, ossia la difesa dei nostri posti di lavoro e della nostra dignità di lavoratori”.