Egregia redazione,
leggo diffusamente sul vostro giornale di segnalazioni inerenti lo stato di degrado in cui versa il patrimonio artistico e naturalistico del comprensorio cirotano, e segnatamente delle strutture che insistono sul territorio comunale di Cirò Marina. Trovo meritorio che tali condizioni vengano rimarcate, a diversi livelli, dai singoli cittadini e dagli autori degli articoli via via pubblicati. Segnalo con piacere che la denuncia dello stato di abbandono della cosiddetta ‘Fontana del Principe’ (ovvero ‘dell’Alice’, o ‘della Lice’, come attestato dalle fonti storiografiche locali) ha suscitato un notevole interesse nei lettori, stante il numero di ‘visite’ e di commenti all’articolo suddetto. Lo stesso dicasi per il rinvenimento delle balle di eternit abbandonate nei pressi di Punta Alice, che sembra un accadimento diverso, ma che in realtà si può anche leggere o inquadrare come una premessa al futuro abbandono e conseguente degrado di quella località. Località che sono, peraltro, di una bellezza invidiabile ed in effetti invidiata, ad esempio come tutta l’area comprendente la collinetta di Madonna di Mare/San Cataldo, area che andrebbe ancor più valorizzata, stante la singolarità del sito, dovuta alla struttura stessa dei cosiddetti ‘Mercati Saraceni’, che a mio modesto parere costituiscono un tipo di costruzione difficilmente reperibile in altri siti coevi; singolarità consolidata vieppiù da un panorama che definirei ‘avvincente’ nel suo silenzio, che fa di quella collina un luogo dell’anima e votato alla meditazione.
Meditazione che va purtroppo a infrangersi contro la constatazione del degrado della ‘Torre Vecchia’, un degrado che non trova giustificazione alcuna, dal momento che ha avuto modo di avanzare sotto gli occhi dei visitatori, incontrastato, producendo crepe e crolli parziali della torre, che, salvo interventi immediati e adeguati, è destinata ad una inevitabile rovina. Rovina che si è abbattuta sull’altra torre, quella che è sempre meno visibile – di ‘fruibilità neanche a parlarne! – e che è situata nella località che da essa prende il nome: Torrenova. Orbene, quella torre risale al 1596, e già questo imporrebbe una seria riconsiderazione delle condizioni in cui si trova. Torniamo a Madonna di Mare / San Cataldo, solo per un attimo, per “ammirare” l’obbrobrio che appare sullo sfondo, per chi guarda in direzione Punta Alice: sto parlando del pontile a servizio dello stabilimento originariamente ‘Montedison’, che con quell’insediamento, in nome della industrializzazione del Meridione, ha portato sì occupazione a molte famiglie di Cirò Marina, ma ha pure cancellato per sempre, condannandole all’oblio perpetuo, altre vestigia magno-greche che sicuramente si trovavano nella zona e che rimarranno sepolte per sempre…
Forse all’epoca non c’era nemmeno la possibilità di mostrare sensibilità alla salvaguardia dell’ambiente e del territorio, e, stante la fame di lavoro, di opporsi alla scelta scellerata di ubicare un impianto industriale in una delle zone più interessanti di tutta la fascia jonica, per quanto riguarda il paesaggio, il turismo, e l’archeologia. A me sembra che di navi non ne attracchino più, a quel pontile… e che di relitti di archeologia industriale, da quelle parti, non ve ne senta proprio il bisogno. Ora, per non lasciare troppa distanza senza una tappa intermedia da Madonna di Mare fino a Madonna d’Itria, mi soffermerò solo un attimo su un’altra costruzione che non gode certamente di uno stato di grazia… e mi riferisco a quel palazzetto della cui esistenza molti ‘marinoti’ (ciromarinesi è un neologismo che rifiuto in toto) non sono forse nemmeno a conoscenza.
Ebbene, quel palazzetto che ospitava la cosiddetta ‘gghjiesicèdda d’a staziona’, quel palazzo Mandorleto, ha una sua storia ed una struttura che andrebbero assolutamente riscoperte e in qualche modo valorizzate, o perlomeno ripercorse studiandole, e segnalandole almeno con un cartello che dica di cosa si tratta: qualcosa, insomma, che tramandi storia e memoria. Perché la storia non ha bisogno solo di restauri con sponsor dai nomi altisonanti, e di investimenti troppo spesso insostenibili, ché non di solo questo essa vive; la storia, anche quella ‘minima’ degli uomini che abitano e vivificano un territorio, vive e si nutre soprattutto dello studio e della memoria di quegli stessi ‘attori’ che nel tempo e quotidianamente la realizzano: serve a dire, quella storia, scritta o meno che sia, che degli uomini hanno vissuto, sofferto, gioito in quei luoghi e in tempi diversi e che questo loro passaggio non è stato vano. Spero che di questo si abbia coscienza e contezza, anche e soprattutto da chi è preposto alla salvaguardia di ciò che non si può disperdere, – parlo di società civile, soprintendenze, autorità varie-, e che ci si decida a correre ai ripari.
Cataldo Antonio Amoruso
da Piacenza