Non mi meravigliano le esternazioni di vacuità, soprattutto se poste con imperativi tendenziosi e di dubbio costrutto. La questione fusione continua a essere perorata, con voce univoca e senza comparazione di confronto civile, critico di chi sostiene la sua non opportunità, a fronte della più coerente e logica soluzione di accorpamento di Servizi, questi sì di utile e necessario potenziamento.
Memento: “Quando il Costituente del 1948 scrisse all’art. 5 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e promuove le Autonomie locali”, attribuì ai Comuni italiani l’attestazione più significativa e importante che si potesse dare: riconoscerli, e sapere che essi ‘venivano prima’ della Repubblica, poiché arrivavano dal passato. Fare tesoro della storia, ogni tanto, sarebbe opportuno: i Comuni, piccoli o grandi che fossero, nelle loro autonomie, sono stati -dall’anno 1000- le prime forme di società di sviluppo, e si fondano su principi opposti a quelli del feudalesimo, poiché prevedevano la partecipazione di tutta la popolazione, con le loro singole peculiarità. Inoltre, sempre dall’art. 5, si stabilisce che “la Repubblica adegua i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” e, con ciò, riconosce anche che essi erano e restano forti e vitali, pronti a reggere la sfida del futuro. Riconoscimento che costituisce la colonna portante su cui poggia tutta la nostra Repubblica e che, per le ragioni dette, si riferisce prima di tutto proprio alla posizione del Comune: l’istituzione che più di ogni altra, ha rappresentato il concreto incarnarsi di questa dimensione di autonomia. Qualsiasi riflessione sui Comuni, soprattutto sui piccoli Comuni, va fatta sempre alla luce di questa consapevolezza, e nel rispetto profondo di questa dimensione. (Cf art. Carnea).
Tuttavia, sempre favorendo il coro dell’incomprensibile fusione, da una nota della consigliera regionale Sculco, si legge che la “Frammentazione istituzionale, scarsità di servizi offerti, difficoltà finanziarie, hanno reso i meccanismi di governo locale scarsamente efficienti, al punto da rendere ininfluente il senso stesso dell’autonomia territoriale”. Ergo 1: i Comuni sono incapaci e con loro i propri amministratori. Ergo 2: visto che Ergo 1 non funziona, non ci preoccupiamo di come sanare, pianare, rafforzare servizi, ma li fondiamo, come le logiche che più clientelari non possono essere, a mo’ di uniamo le famiglie e radichiamo il potere! Sostiene, inoltre, che “affrontare la questione solo sul dato economico non va bene, si deve rinforzare il piano istituzionale”, dunque di potere centrale, e in tutto questo si continua a non tener conto della Gente di Calabria che magari dovrebbe essere informata con chiarezza su quanto si vorrebbe realizzare nel proprio territorio. Auspica altresì, la consigliera, una “spinta gentile” verso la fusione dei comuni, e già il solo termine ‘spinta’ riecheggia atavici usi e costumi da evitare, motivo in più per rimanere molto lontani dalla proposta del coro afono della Regione Calabria. È lo stesso coro che perora la strada della liquefazione del territorio calabro, (Cf art. Carnea) scegliendo percorso meno impegnativo per la risoluzione dei problemi, anziché attivarsi per proporre politiche di risanamento e di sviluppo per una terra che, ahimè, esprime quotidianamente la nanitalianità nella politica, confondendo e non tributando chiarezza alla propria Gente, per la quale, dice il vice presidente giunta regionale Viscomi, voler assicurare migliori servizi. E poi, egli stesso, propone forum sui processi di fusione tra comuni, iniziativa a senso unico sul come sono bravi a evidenziare la proposta fusione, facendo però mancare un contraddittorio, voce non prevista tra i relatori.
Ritorno, per amore di chiarezza, amore per la mia Terra e la mia Gente, a proporre ennesimo chiarimento circa il termine fusione, abusato ampiamente e impropriamente trattato. È la gente di Calabria che deve avere chiarezza, non è dall’alto che si prendono imperative decisioni, fino a prova contraria siamo in democrazia, lo ricordo nel caso il potere faccia dimenticare lo stato di diritto in cui viviamo. Adotto, nel rendere chiaro il senso di fusione, il criterio di analogia sui principi della fisica e del diritto commerciale.
Fusione – dal latino fusio-onis, è sostantivo che letteralmente significa: passaggio di una sostanza dallo stato solido (Comune) allo stato liquido (Comune sciolto), in seguito all’applicazione di calore o pressione (interessi o facilità di soluzioni). Durante il processo di fusione, in chimica, il volume può aumentare o diminuire, a seconda della sostanza presa in considerazione (interessi) e dalla pressione (facilità di soluzioni). Es: un cubetto di ghiaccio fondendosi diventa tutt’uno con la bevanda, quest’ultima rimanendo indebolita, ma sfido chiunque a dire che, gli elementi fusi, mantengano la propria identità o traggano vantaggi reciproci!
L’istituto della fusione, poi, nel diritto commerciale, indica un’operazione attraverso cui società distinte vengono unite in un unico ente sociale. Scopo della fusione è creare sinergie tra le imprese (Comuni) prima indipendenti, tipo migliorare la competitività sul mercato. In seguito alla costituzione della società si diventa soci, con a capo, dell’unico ente, un amministratore delegato, e si assumono i diritti e gli obblighi (debiti e mancanze di servizi) -anche anteriori- delle società partecipanti (Comuni) alla fusione stessa. Mera speculazione commerciale.
Da queste prospettive si evince come il significato di fusione infici i proponimenti in itinere, su cui la Regione Calabria, con il coro afono, cammina. È abbastanza chiaro, e di non indifferente valutazione, il dato che ciò che è all’interno, Popolo di Calabria, non viene salvaguardato poiché non si discute di servizi, di lavoro, di sanità, non vi è una paidèia, ovverosia una trasmissione e formazione di conoscenze e di valori, ma si discute di un mero processo meccanico, asettico che, personalmente, vedo assolutamente concentrato sull’involuzione del territorio poiché, anziché valorizzarne le peculiarità locali, identitarie, cerca di ridimensionarne l’entità, a scapito delle risorse che la bella Calabria ha. E, chiaramente, non la persona al centro dell’azione politica ma processi di liquefazione di più facile risoluzione.
La democrazia non è libertà di tutti, ma governo consentito liberamente da tutti, operante per tutti. Homo sum; nihil humani a me alienum puto!
Non capisco la reticenza di chi ancora si oppone alla fusione dei due “Cirò”.
Nell’entroterra cosentino pochi giorni or sono si è assistito alla fusione di 4 piccoli paesi in unico comune che ha preso il nome di Casali del Manco. Piccolissimi comuni di poche anime destinati isolatamente a morire che in questa soluzione continueranno a vivere. Si discute e si è molto avanti al progetto di unione dei popolosi comuni di Rossano e Corigliano Calabro, che insieme arriverranno a contare circa 70 mila abitanti, divenendo di fatto la quarta città della Calabria, prima ancora dei capoluoghi di provincia Crotone e Vibo Valentia. E non dimentichiamo che la stessa Lamezia Terme, è nata dalla fusione di tre piccoli comuni, e che deve proprio alla loro fusione la sua fortuna, che ne fanno oggi la terza città della regione. Oggi nell’era della globalizzazione, delle grandi forze geopolitiche, della discussa Unione Europea, della Lega Araba, delle macroregioni, si pensa ancora alla divisione di due centri di comuni origini,lingua, costumi e tradizioni.…
E ci si oppone alla unione dei comuni di Cirò e Cirò Marina,he nascono l’una dall’altro, che erano l’una frazione dell’altro. La popolazione ciromarinese è costituita dall’80% da popolazione cirotana stabilitisi in riva al mare alla fine dell’ottocento ( insieme a popolazioni originarie da altre sedi; nda)e più recentemente in misura minore di anno in anno si assiste ad uno stillicidio di cirotani che si trasfericono per i più svariati motivi alla “Marina”. Il centro storico di Cirò Marina è costituito da Cirò, i personaggi storici di Cirò , la Marina li ha fatto suoi, intitolando loro famose strade o piazze (Lilio, Stefano Pugliese, Astorino , ecc). La lingua è comune, fattori sociali,economici e politici sono comuni. Persino San Cataldo, di cui tutti ricordano la “guerra”del secolo scorso fra i due centri, è festeggiato solennemente nei due “Cirò”.
E poi di fatto l’ unione dei due comuni esiste già. Tutta la restante popolazione del crotonese e di tutta la Calabria disconosce l’esistenza dei due comuni, e pensa che vi sia un unico comune: Cirò, diviso solo geograficamente in Superiore e Marina.
Quindi una unione non so a quanti possa dispiacere e a quanti possa far gioire, chi ne trarrebbe giovamento e chi invece svantaggio. Però penso che insieme se contassimo circa 20 mila abitanti, conteremmo di più e disporremmo in tal modo di più servizi: ospedali,uffici pubblici e vari strutture che spettano ai comuni capo bacino, che invece oggi stiamo perdendo giorno dopo giorno: chiusura dell’elisoccorso, ridimensionamento ASP, chiusura INPS, forse soppressione tenenza guardia di finanza. Sarebbe un vantaggio per tutta l’area del cirotano, già cirotano, l’area ha già un nome comune. La fusione di fatto esiste già. Tutti se ne sono accorti,volontariamente o incosciamente tranne gli abitanti di Cirò e di Cirò Marina.
Ma paradossalmente, forse è meglio cosi, lasciare le cose come stanno. Tutti penseranno l’esistenza di un unico comune, che insieme contando più abitanti ci darebbe più importanza, con il vantaggio di avere due amministrazioni comunali, con due primi cittadini che quindi gestiranno , o almeno dovrebbero gestire, con più solerzia e precisione la cosa pubblica, con buona pace dei fautori e degli oppositori dell’unico comune
Condivido in pieno il ragionamento della Carnea, invitando tutti – e per primi i “politici” – a seguirne il metodo, ossia a pensare e studiare prima di parlare.
Alla stessa rivolgo però un invito attinente al metodo: coltivi la sintesi.
Intelligenti pauca!